La scorsa settimana, la Caritas ha presentato il suo annuale rapporto sulla povertà e l’esclusione sociale, intitolato “Gli anticorpi della solidarietà”. I dati emersi dal rapporto sono, ovviamente, preoccupanti e delineano una situazione che ormai tutto il Paese conosce e vive sulla propria pelle ogni giorno che passa. Lo scoppio della pandemia, il lockdown, le continue restrizioni e un’estate trascorsa all’insegna dell’incertezza hanno segnato la vita di numerose persone, persino quella di coloro che fino a poco tempo prima potevano sostentarsi da soli e vivere in autonomia una vita tranquilla. Secondo i dati del rapporto, tra il 2019 e il 2020, la percentuale di persone che per la prima volta si sono presentate agli sportelli della Caritas è aumentata dal 31% al 45%: ciò significa che quasi una persona su due che si è rivolta all’organizzazione non lo aveva mai fatto prima.
Un dato importante da cui partire, questo, che va al passo con quello dei nuovi disoccupati, di chi ha perso il lavoro, di chi ha perso sicurezza e stabilità. Inoltre, sempre stando a quanto emerso dal rapporto, nel 2020 si è registrato un 12,7% in più di persone assistite, con un boom avvenuto proprio durante i mesi del lockdown, una percentuale che ha fatto così schizzare il numero degli assistiti totali ai livelli del 2008, anno in cui scoppiò la crisi economica di cui ancora stiamo pagando lo scotto. La Caritas, proprio per fronteggiare questa “armata” di nuovi poveri, non si è fatta trovare impreparata, dato che ha potuto far forza su un numero sempre più crescente di volontari, i veri e propri “anticorpi della solidarietà”, i quali si sono impegnati affinché la gente bisognosa potesse trovare supporto materiale e morale durante i mesi più difficili dell’anno.
Nonostante l’aiuto sicuramente importante messo in atto, il problema di fondo resta senza alcun dubbio irrisolto e rischia di trasformarsi in una bomba ad orologeria pronta ad esplodere da un momento all’altro. Al di là dell’aspetto personale e della frustrazione per chi si trova a non essere in grado di comprare un pacco di pasta in autonomia, c’è anche un altro aspetto che andrebbe considerato: è quello sociale. Questo vero e proprio esercito di gente bisognosa e a rischio povertà potrebbe ingolosire la criminalità organizzata a tal punto da sfruttarne le debolezze e la precaria stabilità. Come sappiamo, è proprio in questi ambiti (e in certe aree da troppo tempo dimenticate) che la criminalità cerca e trova nuove vittime, forte di un potere territoriale, sociale ed economico che non ha eguali.
Ecco, a fronte di un tema così complesso come quello della povertà, è importante che uno Stato come l’Italia attui una politica di ampio respiro e di lungo termine al fine di recuperare non solo chi già in queste condizioni ci vive, ma anche chi rischia di trovarcisi nel giro di brevissimo tempo (l’incremento di nuovi poveri citato sopra ne è un esempio). È doveroso, insomma, che la politica adotti non solo delle misure efficaci di contrasto alla povertà e al disagio sociale (soprattutto al Sud), ma che metta in atto una volta per tutte anche un piano di crescita economico e culturale serio e duraturo, specie per quelle aree in cui non vi è né istruzione né ricchezza a sufficienza.
Aiutare l’economia a riprendersi, aiutare il Paese intero a rialzarsi in piedi e a riprendere il cammino da dove lo si era lasciato è un compito difficilissimo, arduo ma la speranza è che, tra intoppi e inciampi vari, l’Italia ne esca fuori vincitrice. Per riuscirci però bisogna evitare di sbagliare e soprattutto occuparsi della criminalità organizzata, precederla, evitare che essa possa arrivare prima e infilarsi dentro il ventre sofferente del Paese. Istruzione, welfare, rilancio economico, solidarietà sociale, sostenibilità ambientale e lotta alla criminalità: tutto ciò serve per contrastare la povertà e, di riflesso, fare crescere questo Paese, portandolo fuori dalla palude.
Giovanni Dato -ilmegafono.org
Commenti recenti