La mafia in Svizzera è ormai una realtà consolidata e affermata. A confermarlo ancora una volta è stata la stessa Fedpol (l’ufficio federale della polizia elvetica) che ha recentemente rilasciato un rapporto sulla presenza della criminalità organizzata italiana sul suolo svizzero. Secondo lo stesso rapporto, infatti, le “cellule” presenti sul territorio ammonterebbero a 20, per un totale di almeno 400 affiliati mafiosi. Un numero, questo, che è destinato a crescere e che probabilmente andrebbe ritoccato al rialzo: negli ambienti mafiosi (soprattutto quelli calabresi), infatti, non si parla mai di cellule, bensì di “locali”. Delle organizzazioni, queste, che in media sarebbero composte da almeno 50 esponenti: se ciò dovesse corrispondere a realtà, quindi, in Svizzera la presenza mafiosa potrebbe vantare almeno 1000 unità.
Una presenza massiccia, insomma, che nel corso degli ultimi anni è stata pericolosamente sottovalutata, nonostante le numerose inchieste e indagini susseguitesi. L’ultima, in ordine cronologico, risale proprio alla settimana scorsa, quando la Guardia di Finanza italiana, in collaborazione con la polizia elvetica, ha arrestato ben 75 persone, mentre altre 158 risulterebbero attualmente indagate. Tra gli arrestati spicca la presenza di un 59enne residente in Svizzera il quale, secondo gli inquirenti, sarebbe molto vicino a Rocco Anello, boss della ‘ndrina Anello-Fuci, una delle cosche più importanti del Vibonese. Nel corso dell’operazione, inoltre, numerose perquisizioni sono state realizzate nei cantoni di Zugo, Soletta e Ticino, a dimostrazione dell’espansione raggiunta dall’organizzazione mafiosa.
Un’espansione reale, piuttosto pericolosa, che secondo Antonio De Bernardo, sostituto procuratore di Catanzaro, sta a dimostrare come la stessa ‘ndrangheta sia “molto vitale e con una tendenza espansionistica molto spiccata, sia sul territorio che negli affari”. Affari che, come di consueto, prevedevano riciclaggio, traffico internazionale di sostanze stupefacenti, intestazione fittizia di beni e corruzione, il tutto aggravato dalle modalità mafiose. Alla luce di quest’ultima operazione, appare sempre più chiaro come il rapporto rilasciato la scorsa settimana sia incompleto e come la situazione reale appaia decisamente peggiore.
La presenza mafiosa in Svizzera non può, insomma, limitarsi ad un centinaio di affiliati, né si può ancora credere che si tratti di una criminalità poco integrata nei meccanismi sociali dello stesso Paese. Una delle difficoltà più grandi riscontrate dagli inquirenti sta proprio nel fatto che tra i numerosi indagati (oltre all’unico arrestato), tanti siano residenti in Svizzera da diversi anni e svolgano lavori e mansioni legali, prive di legami con ambienti o dinamiche mafiose. Un inserimento sociale perfetto, si potrebbe dire, che ha per diverso tempo nascosto ciò che di illegale è stato fatto all’ombra di un Paese che vuole preservare a tutti i costi un’immagine pulita, onesta, incorruttibile.
Forse sarebbe ora che i nostri vicini svizzeri si svegliassero dal candido torpore che li ha avvolti per così tanto tempo e agissero, con decisione e forza, nel minor tempo possibile: se ciò non verrà fatto, per la mafia sarà un gioco da ragazzi proliferare e districarsi tra le maglie della società elvetica e rendere così vano ogni tentativo tardivo di pulizia. Lo sappiamo bene, noi, qui in Italia.
Giovanni Dato -ilmegafono.org
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