Alle recentissime municipali francesi, appuntamento elettorale post lockdown, trionfano gli ambientalisti, che danno un sonoro schiaffo a Macron e al suo governo. Un risultato che, al di là di alcune variabili (vedi l’elevato astensionismo), dà una indicazione molto interessante. La richiesta di una svolta ambientalista è sempre più forte nella società civile europea e favorisce il sorgere di schieramenti ampi, che potrebbero dare una spinta politica nuova e importante. Il voto francese, dunque, è un segnale da non sottovalutare. Ci sono energie positive che si muovono in tutto il mondo e che hanno come tema centrale e unificante quello della salute del pianeta e della sua salvaguardia. A livello internazionale come a livello locale, la questione ambientale sta infatti assumendo un carattere sempre più urgente, che dalla società civile si sta spostando verso la politica.

In Europa, le forze ambientaliste avanzano gradualmente e sembrano essere in grado di poter presto rappresentare una alternativa solida al populismo o all’attuale establishment. Si vedrà. Intanto, quel che è certo è che in Italia, invece, siamo ancora lontani politicamente da una scelta verde. L’unica indicazione positiva è stata il successo ottenuto, alle regionali emiliane di gennaio scorso, da Elly Schlein e dalla sua lista ecologista. Ma è poca roba rispetto a un Paese che, anche adesso che dovrebbe e potrebbe sfruttare la ripartenza per dare un’accelerata a una urgente svolta green, preferisce invece tornare indietro. Molto indietro. La romantica ed eroica narrazione che la politica e una parte dei media hanno fatto della costruzione in tempi record del ponte di Genova, sta diventando un diabolico grimaldello per scardinare alcuni principi fondamentali nel rapporto tra economia, impresa, infrastrutture e ambiente.

Dopo l’innalzamento del nuovo ponte, costruito grazie alla deroga di alcune norme che solitamente sono previste per la realizzazione di opere, da più parti sono giunte richieste di applicare ovunque lo stesso metodo. Tutto in nome di una ripartenza, di una ripresa di cantieri e investimenti che non possono rimanere bloccati dentro i gangli di una burocrazia lenta e macchinosa. Ha iniziato qualche governatore, lo hanno seguito a ruota altri esponenti politici, più o meno trasversalmente. Così, va a finire che il mantra della ripartenza diventa quello della semplificazione, con la quale non si intende il fatto di rendere meno farraginosi alcuni aspetti relativi a certe procedure e regole, ma piuttosto liberarsi e mettere al tappeto quelle regole. O meglio, svuotarle di senso.

Così, mentre altrove, nella società, ci si interroga su modelli alternativi di consumo, su una riduzione dell’impatto ambientale, su una riduzione del consumo di suolo, in Italia qualcuno pensa di andare in direzione opposta. Una marcia indietro per liberarsi di quelle sentinelle che pure sono necessarie ad evitare che il profitto diventi la sola cosa che conti. Il decreto semplificazione che il governo sta approntando, al momento è solo una bozza in via di definizione, ma dalle indiscrezioni emergono cose che lasciano molto perplessi. A partire da quel punto, per fortuna stralciato durante un vertice di maggioranza, che prevedeva una sorta di condono edilizio, ossia la regolarizzazione degli abusi edilizi, che sarebbero stati puniti solo con una sanzione amministrativa, oltre al blocco delle demolizioni per opere realizzate in violazione della normativa urbanistica in vigore al momento della loro costruzione.

Un’idea bocciata, e quindi rischio scongiurato, ma il solo fatto di averci pensato fa riflettere sul livello di arretratezza di questo Paese sul tema ambientale. Stiamo ancora a discutere di non demolire gli abusi e di recuperarli, dimenticando che il suolo andrebbe liberato, il suo consumo ridotto e non lasciato com’è o addirittura aumentato. Le altre indiscrezioni parlano poi di snellimento e velocizzazione della VIA (valutazione d’impatto ambientale), che è un fondamentale e spesso unico strumento per fermare abusi e scempi. Uno strumento che andrebbe al massimo reso ancora più efficace e non snellito. Insomma, sul piano della visione ambientale, questa bozza di decreto dimostra come in Italia l’ambiente sia visto non come una risorsa da tutelare, ma più come un fastidio da rimuovere.

A questo aspetto si aggiungono poi altri due punti che invece potrebbero avere conseguenze importanti in un altro ambito: parliamo della modifica del codice degli appalti, con l’assegnazione senza gara per lavori non superiori a 150mila euro (si alza così la soglia attuale che è di 40mila euro) e, fino al 31 luglio 2021, anche per opere piccole e medie fino alla soglia comunitaria di 5,3 milioni di euro. Trattativa ristretta, invece, anche per le opere e le infrastrutture di rilevanza nazionale. Una scelta che mira a ridurre i tempi, ma che rischia di aprire le porte alle infiltrazioni criminali, visto che la maggiore disponibilità di liquidità delle aziende mafiose, unita alla loro abilità a infilarsi nell’economia legale (e negli appalti, soprattutto senza gara), dà alle mafie un vantaggio. Il periodo di crisi, poi, amplifica ancor più questo rischio. Così come la velocizzazione delle procedure per il rilascio della certificazione antimafia, contenuta anch’essa nella bozza del decreto, che prevede il rilascio di urgenza della certificazione e solo successivamente, nel caso emergano contiguità mafiose e cause interdittive, la revoca.

Insomma, la velocità è la parola d’ordine scelta per dar seguito a questa idea di semplificazione. Ripartire a qualunque costo, questo è il motto di un governo che sembra dimenticare in che Paese viviamo. Un Paese con quattro mafie, con infiltrazioni radicate, con una situazione ambientale grave, con intere aree compromesse da anni di abusi e di devastazione dei territori. Se questo sarà il contenuto del decreto che dovrà rilanciare l’Italia, se questa è la ricetta per far ripartire l’economia nazionale, allora consentiteci di dubitare. Consentiteci di immaginare un Paese che rischia di ripiombare nel suo passato, tornando esattamente al punto di partenza. Sburocratizzare e velocizzare è necessario, ma non al prezzo di abbassare o demolire le difese. Il futuro non si misura in velocità ma in qualità e in visione politica. Che come punto di riferimento irrinunciabile, oggi, nel 2020, deve avere l’ambiente e la sua tutela.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org