Da diversi mesi un potente virus, il Covid-19, è entrato a far parte delle nostre vite e ogni giorno è possibile leggere tantissime notizie al suo riguardo. Tra queste, una possibile correlazione con l’inquinamento atmosferico ha sollevato le reazioni di molti studiosi. Sembrerebbe, infatti, che ci sia un legame tra la concentrazione di smog nelle città e la diffusione del Coronavirus. L’ipotesi avanzata è che l’aria inquinata possa agire come mezzo per diffondere l’infezione e come agente peggiorativo dell’impatto sanitario della pandemia in corso.
Nello specifico, esperti e ricercatori della Società italiana di medicina ambientale (Sima), di Università di Bari (UniBa) e Bologna (UniBo), in un position paper pubblicato la scorsa settimana, hanno messo in evidenza la potenziale relazione tra la velocità di diffusione dei contagi virali e le concentrazioni di particolato atmosferico, che può costituire un efficace vettore per il trasporto, la diffusione e la proliferazione delle infezioni virali. Inoltre, gli scienziati sottolineano che questa ricerca parte da evidenze scientifiche riportate in numerosi studi di letteratura in merito.
“Il nostro studio – spiegano gli studiosi in un articolo del quotidiano “La Repubblica” – è condotto con metodo scientifico, basandosi su evidenze. Trova riscontro il fatto che restino attivi per diverse ore. Perciò è importante ribadire che in condizioni di alte concentrazioni di particolato, un metro di distanza tra le persone è necessario, ma potrebbe non bastare, sia in ambienti outdoor che indoor. D’accordo con le Arpa, che dicono che non basta solo fermare le auto, non è solo così che si riduce il Pm10: abbiamo più volte messo in evidenza il ruolo della meteorologia e della necessità di fermare o ridurre anche le altre potenziali sorgenti”.
Alcuni esperti di biologia affermano, invece, che si tratta di position paper, ovvero un articolo per lo più di ipotesi e opinioni e che non è stato sottoposto a una revisione di altri specialisti. “Non vogliamo sminuire il lavoro dei ricercatori che hanno una certa autorevolezza – dichiarano alcuni esponenti del movimento Biologi per la scienza -, ma le tesi esposte vanno ancora dimostrate scientificamente perché si afferma che ci sia una stretta correlazione tra inquinamento e casi di Covid-19 nella pianura padana, ma una correlazione non è automaticamente un nesso di causalità perché i dati non possono farci dire con certezza che le polveri sottili siano responsabili di più casi”. A distaccarsi da quest’ultima posizione è l’Ordine Nazionale dei Biologi: “Noi prendiamo le distanze da queste dichiarazioni e ci atteniamo a quanto sostengono le società scientifiche e le università coinvolte, tanto più che spesso abbiamo lanciato allarmi sui danni a breve e a lungo termine che l’inquinamento può arrecare alla salute”.
Tra chi si oppone al position paper anche la Società italiana di aerosol che, in una nota firmata da 70 scienziati di vari enti e istituzioni, ha asserito: “Ad ora non è stato dimostrato alcun effetto di maggiore suscettibilità al contagio al Covid-19 dovuto all’esposizione alle polveri atmosferiche e si ritiene che la proposta di misure restrittive di contenimento dell’inquinamento sia, allo stato attuale delle conoscenze, ingiustificata. Anche se è indubbio che la riduzione delle emissioni antropiche, se mantenuta per lungo periodo, abbia effetti benefici sulla qualità dell’aria e sul clima e quindi sulla salute generale”.
Spiegano, inoltre, che il fatto di essere più esposti ad alte concentrazioni di polveri aumenta la possibilità di contrarre malattie respiratorie croniche e cardiovascolari, tuttavia al momento non è stato dimostrato alcun effetto di maggiore suscettibilità al contagio dovuto alle polveri. Infine, secondo Fabrizio Bianchi, capo dell’Unità di epidemiologia ambientale e registri di patologia all’Istituto di fisiologia clinica del CNR, per approfondire maggiormente la questione sarà necessaria una ricerca più ad ampio raggio che consideri il parametro della qualità dell’aria tra i fattori da valutare.
Redazione -ilmegafono.org
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