A forza di spingere sui tasti del torbido, si finisce per restarci sotto. Bisognerebbe spiegarlo bene a chi ha pensato che, anche questa volta, la macchina dell’odio, del disprezzo, della propaganda più becera potessero bastare a costruire la propria vittoria. E invece no, non è successo, probabilmente perché a quella propaganda, ai meccanismi bestiali che la guidano, è stato finalmente trovato un antidoto. Il più semplice, il meccanismo logico che inceppa il sistema. La piazza, la presenza fisica, con i corpi e la creatività, con la bellezza e l’ironia, senza l’insulto, senza la smania di apparire diversi da quello che si è: cittadini consapevoli. Si chiama democrazia reale, quella che non si costruisce a forza di post sponsorizzati su un social network, né si fabbrica con la banalizzazione dei contenuti, con il trionfo degli slogan e dell’incompetenza.
Le piazze hanno riconsegnato il sapore della partecipazione. Non importa chi ha vinto o chi ha perso, né le valutazioni sui numeri, sul voto disgiunto, sulle dinamiche partitiche o di coalizione: la vera vincitrice è stata l’affluenza. Che ha un significato profondo e che potrebbe lasciare un segno anche per il futuro. Chiamiamole sardine o semplicemente cittadini, la scelta della partecipazione è un segnale forte per tutta la politica, che invece di reagire con i grazie o, viceversa, con l’insulto acido, dovrebbe fermarsi a pensare. Dovrebbe riflettere sul senso di una mobilitazione che, per prima cosa, restituisce vigore a una democrazia appannata e malconcia, ma ancora viva. Dovrebbe essere contenta che il dibattito sia stato arricchito dall’entusiasmo spontaneo e civile di un popolo di persone che ha scelto di esserci, di essere presente, visibile, quantificabile e soprattutto pacifico, costruttivo anziché distruttivo, lontano mille miglia da quell’odio sul quale qualcuno ha soffiato per anni e continua a soffiarvi.
La politica oggi dovrebbe fermarsi a pensare alle risposte, a come cambiare la propria narrazione e ritrovare credibilità e sobrietà. Chissà se qualcuno ha imparato qualcosa dal fallimento evidente della strategia della menzogna, della volgarità, dei casi giudiziari trasformati in pastoia politica da far ingoiare al popolo. Chissà se ha capito che le piazze sono più forti delle piazzate, che il buon senso è più forte dello sproloquio, che la realtà non la puoi continuare a modificare se te la ritrovi davanti, con gli occhi aperti e il cervello acceso. Bibbiano e il Pilastro sono isole straordinarie, sono isole nelle quali alla Bestia è stato negato l’attracco, perché sono reali, fatte di esseri umani, gente vera che ha risposto con il proprio corpo e la propria voce al coro gracchiante degli slogan, delle buffonate, delle telecamere accese e dei giornalisti sorridenti che, davanti a un citofono, offrivano il fianco allo show triviale di un politico da palude.
Bibbiano ha rivendicato la propria dignità, ha mostrato la ferita sulla propria pelle, lo squarcio prodotto da mesi di oltraggi, generalizzazioni, fandonie, strumentalizzazioni, valanghe di parole, senza che mai nessuno si preoccupasse di una sola cosa: andare lì e ascoltare la gente, rispettarla. Il Pilastro, dal canto suo, ha mostrato la sua vitalità, l’umanità di un quartiere in movimento che non ci sta a essere vittima di una narrazione distorta e mostra la capacità di non abboccare alle mosse sguaiate di chi costruisce accuse senza prove e in ogni caso nega agli altri il garantismo che pretende per sé. Il Pilastro e Bibbiano hanno fatto inceppare la macchina della propaganda e lo hanno fatto con la partecipazione, con la difesa dei valori che sono parte della democrazia e della Costituzione. Hanno sputato via i veleni e hanno messo in mostra la propria dignità di cittadini consapevoli.
Perché quando la gente è sveglia e si fa vedere, le menzogne perdono forza, si annacquano e si mutano in ruscelli che poi diventano mare, un mare profondo nel quale cominciano a nuotare verità, coscienza, impegno. Ci si mette in gioco, ci si alza dal divano, dalla rassegnazione, da quel meccanismo che porta tutti a reagire nel chiuso delle proprie case o dietro il ticchettio delle proprie tastiere. Si esce fuori, si torna in piazza, ci si riappropria dei luoghi. Si sta insieme, si ride, ci si commuove, si parla, si pensa, ci si confronta. Ed è così che nascono le cose migliori, è così che si dà forza alla democrazia e si annichilisce la propaganda. Bibbiano e il Pilastro sono simboli della vittoria di una realtà che è sfuggita all’aggressione della messinscena, mettendo a tacere gli sciacalli e facendo volare via i corvi.
Due isole bagnate dal mare. Un mare di parole positive, di arte, bellezza, contenuti, civiltà. Un mare profondo nel quale annegano l’incapacità e il fallimento di chi il titolo di capitano non lo ha mai guadagnato, ma se n’è appropriato indebitamente. Un capitano che, grazie alla sua inadeguatezza e alla sua mancanza di argomenti, si è schiantato contro l’iceberg della società civile, delle competenze e della politica nel suo significato più nobile. Un capitano farlocco che oggi appare sempre più in crisi, al punto da perdere terreno anche in quella Riace che credeva di avere espugnato per sempre. Un capitano che oggi è molto più simile a un mozzo maldestro e disorientato, goffo e spaventato nonostante la sua apparente spavalderia. Com’è profondo il mare, per chi non sa navigare.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
Quant’è bello poter respirare una boccata d’ossigeno buono insieme a voi.