C’era un tempo nel quale la Bestia, il meccanismo creato dallo staff di Matteo Salvini, riusciva a mordere, iniettando veleno in rete e diffondendo odio nel Paese. Un’epoca felice per la Bestia e i suoi ideatori, spesso celebrati anche dagli osservatori che le attribuivano capacità gigantesche, presentandola come un mostro invincibile, destinato a cambiare l’assetto istituzionale e la storia della nazione. Poi, mentre il veleno della Bestia si espandeva a macchia “d’odio”, è successo quello che accade anche alle macchine che sembrano perfette: non funzionano più come un tempo. Non per un corto circuito interno, ma per un principio molto banale: la Bestia era addestrata solo per agire nel suo habitat. Appena qualcuno l’ha trascinata fuori, si è scoperta fragile, impacciata, stordita.

È bastato che qualcuno la portasse lontano dalla sua giungla, la spingesse fuori dal virtuale, facendole trovare una delle cose più spaventose per chi si nutre di finzioni e algoritmi: la realtà. Le piazze riempite dal movimento delle “sardine”, al di là di come quest’ultimo si evolverà, hanno avuto il merito di lasciare soli gli odiatori, di far inceppare il meccanismo. La non risposta agli insulti, il sottrarsi alle schermaglie via web, il non rispondere a fake news, aggressioni verbali, calunnie, minacce, trascinando la discussione nel mondo reale ha spiazzato gli strateghi della Bestia. Lo stesso Salvini, svuotato dalla vis dell’odio, è apparso smarrito, attaccandosi solo a qualche trito slogan politico e risultando ripetitivo, noioso e nervoso, con un sorriso di falsa serenità che sparisce non appena le telecamere si allontanano dal suo volto.

Gli hanno rotto il giocattolo, semplicemente liberando la gente da quel sentimento perverso di odio e rabbia che colpiva anche chi si opponeva o provava ad opporsi alla Bestia. Il sorriso, la fedeltà ai valori della Costituzione, la voglia di stare insieme ignorando totalmente gli insulti e rispondendo all’odio con parole di amore e libertà hanno messo all’angolo i leoni da tastiera. Pare li abbiano visti girare nel buio delle loro stanze, nervosamente, tra un insulto e una frase sgrammaticata lanciate nel vuoto, tra commenti tutti uguali e privi di risposte. La loro eccitazione quotidiana è diventata noia e i loro attacchi a un gruppo di giovani e meno giovani, persone comuni dalle anime e dalle esperienze diverse, sono come frecce prive di punta e con la coda spezzata. Sono pugni tirati a vuoto che pian piano gli si ritorcono contro, diminuendo l’efficacia e facendo aumentare il fronte di chi si oppone, di chi ha lasciato la rassegnazione e i divani per scendere in piazza e chiedere un Paese diverso.

Una richiesta che non si rivolge però solo a quella parte politica che si definisce sovranista e che ha infettato la democrazia banalizzando tutto e aizzando gli istinti peggiori dei cittadini, con menzogne, account falsi, troll e tutto quello che è risultato utile allo scopo, ma anche all’altra parte, anche a chi ha scelto di inseguire quel tipo di narrazione, di imitarla addirittura. Perché lo squadrismo politico, sul web e sui social, lo hanno usato anche coloro i quali si ritenevano diversi e migliori. L’ultimo caso è recentissimo, a dimostrazione che se la politica nel suo insieme non cambia rotta, le piazze dovranno avere la forza di continuare a educare tutti. Ma proprio tutti. Il riferimento è a Matteo Renzi e alla volgare azione compiuta dai suoi fan, molti sostenitori di Italia Viva, nei confronti del giornalista Corrado Formigli, reo di aver fatto il proprio dovere.

Formigli ha sottoposto Renzi, nel corso di una puntata di PiazzaPulita andata in onda la settimana scorsa, a delle domande sul caso della Fondazione Open e del prestito di 700mila euro da parte della famiglia Maestrelli allo stesso Renzi per l’acquisto di una casa. Domande legittime che, come ha più volte ribadito Formigli, non ipotizzano un reato ma sottolineano una possibile questione morale o un potenziale conflitto di interessi. Domande lecite da porre a un senatore della Repubblica e a un ex premier, il quale ha avuto piena possibilità di rispondere. Formigli ha fatto quello che fa un giornalista serio. Forse in Italia, in tv, ci siamo disabituati al giornalismo vero, alle domande scomode, all’atteggiamento “dritto” e non servile. Così Renzi si è infastidito, non tradendo un certo nervosismo e lasciandosi andare a qualche battutina velenosa, ma questo sarebbe normale.

La cosa peggiore invece l’hanno fatta i suoi fan e sostenitori, che hanno “risposto” seguendo il trend reso ormai celebre da salviniani e meloniani: la delegittimazione e l’esposizione, la gogna. La foto della casa di Formigli è stata pubblicata sui social da pagine a sostegno di Italia Viva, con tanto di indirizzo, descrizione dei suoi interni, cifre sul valore, ecc. Una vergogna, una forma squallida di comunicazione, un agguato mediatico contro un giornalista che ha fatto il proprio dovere. Conta poco la falsa solidarietà di un capo politico che avrebbe dovuto essere durissimo contro questi attacchi, prendere le distanze con forza, contattare le pagine a sostegno del suo partito e chiedere la rimozione immediata di quella foto e delle informazioni.

Avrebbe dovuto mettere da parte il suo infantilismo che lo porta, da un lato, a fingere solidarietà, mettendo però sullo stesso piano la privacy di un politico (che peraltro Formigli non ha violato, prendendo informazioni già note da mesi) e quella di un giornalista (che del politico e del senatore non ha le stesse tutele), e dall’altro a lasciare che altri esercitino il suo sentimento di vendetta. Nei confronti non di un avversario politico ma di un giornalista.

Ecco, allora, se è vero che la Bestia è stata indebolita, anche se è ancora viva, è altrettanto vero che c’è chi continua a riproporne i metodi e gli schemi. Non solo dal fronte dei sovranisti… Chissà se le piazze riusciranno a spegnere anche questi meccanismi provenienti da soggetti diversi da coloro i quali hanno fatto della Bestia la propria arma politica. La speranza è che ci si riesca e soprattutto che in Italia si torni a rispettare chi, a schiena dritta, fa il proprio dovere. Quello di fare le domande, senza per questo trovarsi minacciato o messo alla gogna. Con tutti i rischi che ne conseguono.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org