Sguardo sulle crescenti pratiche di esportazione di “Capitale Umano”, “Fuga di cervelli”, “Fuga di capitali”, “Fuga dalle città”: i lettori di quotidiani nazionali si sono abituati a sentir parlare di fuga. Molti fenomeni che comportano il passaggio di una frontiera amministrativa sono da subito classificati come un atto di fuga. E fuggire significa lasciarsi alle spalle una situazione indesiderata nella prospettiva di raggiungere una situazione migliore. Nei tempi attuali anche il linguaggio comune fa da specchio: è folta la schiera di italiani che lasciano il Paese per recarsi verso migliori lidi, percependosi e parlando di sé come di “expat”; un fine francesismo che soppianta il meno accattivante “emigrante”.
Non di vera fuga si tratta, invece, quando parliamo della situazione inedita che si è venuta a stabilire a pochi chilometri dal confine italo-svizzero, nel Canton Ticino. A ben vedere, la clinica ospedaliera “Swiss Stem Cells Biotech (SSCB)” è situata a meno di 600 metri dal valico di confine di Brogeda (Como) e questa sua posizione strategica ha favorito gli affari e, appunto, la migrazione di tanti cordoni ombelicali di bambini nati in Italia.
La normativa vigente in Italia dal 2004 impedisce la conservazione e l’utilizzo degli organi quali cordoni ombelicale e sangue placentare. Una dolce campagna mediatica e una politica di marketing sanitaria molto pacata hanno lentamente fatto breccia tra le future mamme in Italia con un occhio di riguardo per il futuro del proprio bambino. Nei prospetti di queste imprese di crioconservazione, infatti, in tutta evidenza compare il messaggio che salvaguardare questi unici depositi di staminali che ogni mamma e bambino producono al momento del parto significa mettere al riparo lo stesso da future degenerazioni dei tessuti, del sangue e persino delle patologie mentali.
Da segnalare, accanto alla promozione di questi depositi di materiale genetico prezioso per le future eventuali patologie, la postilla che riguarda la condizione dell’autismo: secondo queste società, un deposito di materiale genetico potrebbe infatti rivelarsi provvidenziale nel caso di future diagnosi di autismo. Statisticamente la diagnosi di autismo riguarda ormai 1 individuo su 88; il potenziale dei clienti tra le future mamme impaurite si viene ad allargare. Le famiglie e le associazioni che convivono con i bambini con il disturbo dello spettro autistico proprio a questo riguardo protestano vivamente, raccontando di sentirsi prese in giro.
Ecco come avviene: si inizia con la telefonata al call center che ha base in Italia. La futura mamma è molto rassicurata nelle procedure e nel linguaggio: è tutto a portata di smartphone e di corriere espresso. Niente di diverso da un acquisto online. Possibilità di monitorare la consegna in tempo reale e tutto avviene a distanza senza dover affrontare viaggi oltre frontiera. E i costi? Apparentemente si tratta di somme che, se valutate nel periodo della conservazione del cordone, si aggirano sugli 8,47 euro al mese, anche se la cifra di 3.050,00 euro va versata subito e il sangue placentare o il cordone saranno conservati per 30 anni.
Poi esiste, al contrario dell’universo e-commerce, la persistenza delle frontiere e delle barriere doganali: siccome il parto avverrà in Italia, la futura mamma deve recarsi presso la Direzione Sanitaria di competenza per richiedere l’autorizzazione scritta all’esportazione. Inoltre, saranno richieste alla partoriente i risultati delle analisi su HIV, Epatite C ed esami tossicologici. Unico elemento di intervento reale che si richiede in tutta l’evoluzione del parto è la partecipazione del personale di ostetricia che, in molti casi, è già da subito parte coinvolta con accordi con la SSCB per il prelievo venoso dal cordone ombelicale, ma l’elenco delle strutture che già operano in sincronia con la società svizzera deve essere valutato città per città.
La funzione privatistica di questo accumulo di materiale organico ricco di cellule potenzialmente riproduttrici di tessuti preziosi ha, secondo molti studi, effetti negativi proprio sui donatori, in quanto chi è portatore di una particolare patologia dovrà ricorrere a donatori compatibili ed evitare di attingere al proprio bagaglio genetico già portatore di quei fattori critici. Il private banking dei cordoni ombelicali sotto questa prospettiva non offre le potenzialità del common banking: fare rete funziona sempre anche nel caso delle cellule staminali e dei cordoni ombelicali. La rete delle banche pubbliche del cordone e del sangue placentare ha messo in opera un’attività di interconnessione che risponde prontamente alle richieste di un paziente.
I grossi numeri e la velocità delle banche dati, in perenne contatto tra di loro, facilita quello che un uso privatistico del proprio cordone ombelicale non può affrontare: se un paziente porta una patologia sin dalla nascita, appare evidente anche ai non esperti che sarà come minimo prudente evitare di attingere a quella fonte di cellule staminali originariamente portatrice delle patologie. Sarà solo la connessione tra le banche pubbliche e la ricerca aperta degli elementi compatibili a rappresentare la soluzione più efficace. Ancora una volta si dimostra in fin dei conti che a “guardarsi il proprio ombelico” non si raggiungono i risultati migliori né per sé, né per la collettività.
Dario Minotti (Sonda.life) -ilmegafono.org
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