Fino a poco tempo fa era un alleato da coccolare ed accogliere con tutti gli onori, un amico potente e ricco da tenersi caro, oggi è il crudele carnefice che si accanisce sulla gente inerme e, pertanto, va respinto, combattuto, fermato. Mu’ammar Gheddafi, in realtà, è sempre lo stesso, non è mai cambiato: è un dittatore spietato e violento che non molla un potere costruito in decenni di dominio, trascorsi accumulando denaro su denaro, con l’avallo di molte potenze occidentali, che con lui hanno fatto affari d’oro e che da lui scodinzolavano per avere qualche briciola delle immense risorse che la Libia detiene. Gas, petrolio, ma anche un enorme bisogno di infrastrutture da realizzare per modernizzare un Paese che è il più ricco tra le nazioni del Nord Africa. Un boccone goloso per troppi, ma anche un punto di contenimento importante, agli occhi dell’Occidente, di fronte all’avanzata fondamentalista nel mondo arabo. Gheddafi, con le dovute differenze, rappresentava un freno, così come Ben Alì in Tunisia e Mubarak in Egitto, rispetto al pericolo del terrorismo di matrice islamica. Ed in nome di ciò gli è stato concesso tutto, troppo.

Oggi, il mondo che prima banchettava con lui e gli baciava perfino la mano si è accorto d’improvviso che quell’uomo dagli occhi torvi e dalla faccia rozza è solo un criminale, un ex rivoluzionario che, salito al potere, ha messo le mani sulla Libia e sulla sua gente. Una storia lunga quella libica, piena di momenti molto diversi tra loro, una storia durante la quale il regime di Gheddafi non ha accettato alcuna apertura democratica, perseguitando gli oppositori, mostrando il pugno di ferro contro chiunque provasse a ribellarsi. Tutto nel silenzio complice di chi ora sgrana gli occhi sorpreso della brutalità del Colonnello. Bombarda la gente, tortura, assolda mercenari spietati e cecchini con l’istruzione di sparare su tutto ciò che si muove, poco importa che siano civili indifesi, donne, vecchi, bambini. Sparare su tutto, sugli ospedali, sulla folla, bombardare qualsiasi casa. Bisogna distruggere quella gente, tutta quanta, perché tanto sono tutti traditori, tutti “ingrati” che hanno osato ribellarsi a chi ha fatto della Libia un paese temuto e rispettato nel mondo.

Questo pensa Gheddafi, mentre la sua colite di rabbia e paura lo tiene inchiodato al suo cesso dorato nella sua fogna bunker. Sì perché il Colonnello ha paura, sa di essere prossimo alla sua fine, sa che il popolo insorto non lo fermi nemmeno con i missili. Non può uscire perché sarebbe linciato e ucciso da chi non lo vuole più, da chi è stanco dei soprusi, delle violenze, dell’oppressione. Il Nord Africa reclama libertà, democrazia, progresso economico e sociale. Non c’entrano questioni di potere, non c’entra la religione: questa è la rivoluzione dei giovani, degli intellettuali, è una rivoluzione fresca, vera, pura. Non ci sono slogan religiosi, non si bruciano bandiere, ma se ne piantano di nuove (o di vecchie ma con un significato nuovo, come nel caso libico), si abbattono i simboli del regime, si ripulisce il terreno per coltivare un nuovo domani. Un’onda che sta travolgendo confini e barriere. È terrorizzato Gheddafi, si sente ferito dal tradimento di quelle nazioni che oggi lo hanno mollato rapidamente, cancellando in fretta strette di mano, foto ufficiali, parole di stima, affari milionari.

Si mostra tronfio, dichiara la sua serenità, la convinzione di riprendersi il Paese, ma è tutta facciata, una facciata che si avvale dei media di regime, che vomitano propaganda, che nascondono malamente il terrore di un establishment che presto sarà severamente punito dalla popolazione libica e dalla storia. Nel frattempo sui cieli di Tripoli e Bengasi si combatte l’ennesima guerra, l’Europa e gli Usa si sono svegliati, ma prima hanno lasciato che il Colonnello riconquistasse quasi tutte le posizioni perdute, a colpi di bombe e di proiettili sulla gente e sui ribelli. Hanno atteso, spiazzati dalla situazione, hanno assistito immobili al massacro di centinaia di persone, riflettendo nel contempo sulla ghiotta opportunità di sfruttare la situazione a proprio vantaggio. Così, ad un certo punto, hanno rotto gli indugi e hanno dichiarato guerra, aggiungendo orrore ad orrore. Si dice (con troppa facilità) che non c’era alternativa, che bisognava intervenire. Ma su cosa? E come? Le bombe non sono mai una soluzione, la guerra non lo è mai, soprattutto quando si combatte per fermare un uomo che poteva essere fermato prima e che potrebbe essere stanato ora.

La diplomazia mondiale è al suo punto più basso. Non sono bastati l’Iraq e l’Afghanistan, due guerre che non hanno portato a nulla, se non ad allungare la striscia di sangue innocente che scorre lungo la linea dei conflitti sparsi per il mondo. Saddam Hussein è stato preso dopo ben due guerre, tra le quali è trascorso un periodo fatto di affari e relazioni economiche, mentre egli stesso continuava i suoi massacri nei confronti degli oppositori iracheni e dei curdi. I diritti umani non sono mai stati oggetto di una guerra, forse solo nel caso della pulizia etnica in Kosovo (lì il ritardo fu ancora più clamoroso), ecco perché è stupido pensare che questa azione bellica sia nata dalla voglia di aiutare i ribelli a liberarsi del dittatore. Non è una guerra di liberazione, ma di interesse. Della gente libica all’Europa ed al mondo non importa alcunché.

Non è mai importato, quando si copriva di silenzio la violenza spietata del regime di Gheddafi nei confronti della sua popolazione, le torture nelle carceri libiche, il massacro continuo di migliaia di migranti provenienti dall’Africa sub-sahariana e dal corno d’Africa. E nessuno è immune da questa promiscuità perversa con il governo di Tripoli, né Berlusconi (colui che ha baciato le mani sporche di sangue del dittatore) né l’opposizione (che con Gheddafi ha fatto i primi accordi per la gestione dei flussi migratori). Per tale ragione, chi parla di guerra giusta, di intervento necessario, di realpolitik, di prezzo da pagare per la libertà o è ingenuo o è fin troppo malizioso. Gheddafi lo si può fermare senza bisogno di bombe, perché è rimasto solo, perché non ha molti estimatori all’interno del mondo arabo, non ha teoremi da utilizzare per creare un fronte compatto anche al di fuori della Libia che combatta contro i ribelli e l’Occidente.

Non trova sponde ed è costretto a minacciare, a fare paragoni con Hitler e Mussolini, ad uccidere civili facendo poi ricadere la colpa sui suoi nemici. Non riesce a creare un motivo o un nemico unificante che siano interiorizzati al di fuori dalla sfera dei suoi sostenitori. Eppure, la potente alleanza internazionale, dotata di super intelligence e di immensa tecnologia, ha bisogno di bombardare, di partecipare al massacro. Magari finirà pure che Gheddafi non verrà preso, sarà lasciato al suo posto, ma con un bel prezzo da pagare alle potenze che lo hanno domato. Converrebbe di certo ai governi che da anni si asciugano la bava guardando la Libia. E il popolo? E coloro che si sono ribellati per conquistarsi un futuro diverso? Beh, il popolo che si arrangi! D’altra parte al popolo mica pensano i governi stranieri. Il massimo che possono fare i governi stranieri e respingere chi, per salvarsi, si permette di bussare alle porte delle loro nazioni dorate.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org