Nel corso del maxi processo nei confronti della famiglia Spada (noto clan criminale attivo lungo il litorale romano e non solo), i magistrati della Direzione distrettuale antimafia, Mario Palazzi e Ilaria Calò, hanno presentato delle richieste di condanna per oltre 200 anni nei confronti di 24 esponenti. Tale procedimento non è altro che il risultato finale dell’operazione “Eclissi” durante la quale, nel gennaio del 2018, vennero eseguiti diversi arresti ad Ostia e dintorni. Arresti che colpirono in maniera massiccia l’organizzazione stessa. Sul registro della magistratura sono finiti nomi eccellenti quali quello del boss Carmine Spada, del fratello Roberto (noto per la testata rifilata al giornalista della Rai, Daniele Piervincenzi) e del nipote Ottavio: per tutti e tre, i magistrati hanno chiesto il carcere a vita, poiché giudicati tra i membri più pericolosi del clan.

La settimana che si sta per concludere è stata sicuramente una delle più difficili dell’intero processo: presso l’aula bunker del carcere di Rebibbia, infatti, accusati, giudici, vittime e tantissimi esponenti della carta stampata hanno potuto ripercorrere episodi di inaudita violenza e prepotenza perpetrati nel corso degli ultimi anni. Secondo gli inquirenti, quella degli Spada è a tutti gli effetti una vera e propria organizzazione mafiosa che si basa su delle dinamiche e su un modus operandi praticamente identici a qualsiasi altro clan: agguati, estorsioni, traffico di stupefacenti, usura sono solo alcune delle “caratteristiche” di persone che, stando a quanto emerge dal processo, “non si fermano davanti a niente, ti ammazzano senza pietà”. Per tale ragione, è stata chiesta una condanna che fosse esemplare per tutti, che desse un segnale forte, deciso, sia ai membri del clan sia a chi vi gravita intorno.

Al termine della requisitoria, durata quattro giorni (culminata, appunto, con le richieste appena citate), alcuni familiari della cosca si sarebbero inoltre resi protagonisti di un fatto che fa riflettere e che al tempo stesso preoccupa: essi avrebbero lanciato pesanti insulti nei confronti degli stessi magistrati e di alcuni giornalisti, tra i quali Federica Angeli, nota cronista di “Repubblica”, che da anni si batte per la legalità nel municipio di Ostia e che proprio martedì scorso si trovava nel carcere romano. La Angeli, che ormai da diverso tempo vive sotto scorta e che ha subito minacce ed intimidazioni già numerose volte per via delle sue inchieste contro la mafia nella Capitale (in maniera specifica proprio contro il clan degli Spada), non si sarebbe certo fatta intimidire dalle reazioni violente del gruppo. Reazioni del genere, d’altronde, sono una peculiarità di chi non ha niente da perdere, di chi ha barattato la propria libertà di cittadino civile con un potere ed una prepotenza sì forti e a tratti smisurati, ma che alla fine si sgretolano contro il muro della legge.

La cronista romana è ormai abituata alle minacce della criminalità organizzata, una criminalità che nel corso degli ultimi anni ha soffocato sempre più il Municipio X di Roma trasformandolo, per certi aspetti, in un vero e proprio Bronx. Adesso si attende la sentenza e si spera che le pene esemplari diano un colpo durissimo a questo clan, anche se tutto ciò non significa aver vinto la guerra contro il crimine a Roma. Bisognerà fare tanto, vigilare sulla riorganizzazione delle cosche e su eventuali nuovi equilibri. In una città che sembra sempre più segnata dalla presenza del crimine organizzato.

Giovanni Dato -ilmegafono.org