In un mese sono cambiate molte cose. Ci siamo ritrovati un nuovo governo e nuovi ministri, abbiamo visto colui che molti consideravano (a torto) un leader furbo commettere un errore da scolaretto. Abbiamo assistito alla penosa e autonoma metamorfosi del ministro dell’Interno, passato rapidamente da leader sprezzante a vittima piagnucolante. Siamo passati dal “voglio pieni poteri” al “ce l’hanno tutti con me”. Insomma, la politica in Italia ci ha portato uno scenario inatteso. Sarà stata l’estate, saranno stati i troppi cocktail ingurgitati davanti al mare tra un dj set e un altro, resta il fatto che oggi la prospettiva è mutata. Almeno dal punto di vista della forma. Perché nella sostanza, le cose che contano davvero non sono cambiate affatto. Il killer del precedente governo, che adesso scende in piazza circondato da saluti romani per protestare praticamente contro se stesso, è stato sostituito da un nuovo ministro.
Una donna. Una ex prefetta, quella Luciana Lamorgese che a Milano ha battuto il record di sgomberi e che, nel 2017, è stata protagonista di un discusso blitz contro i migranti che sostavano davanti alla stazione Centrale del capoluogo lombardo. Una donna apprezzata sia dal Pd che dai 5 stelle, così come dal centrodestra. E tanti sono stati in effetti gli elogi per lei, che al ministero dell’Interno era già stata capo di Gabinetto, sia con Angelino Alfano sia soprattutto con Marco Minniti. Proprio quel Minniti che ha aperto la stagione della caccia alle ong e degli accordi con la Libia e la sua famigerata Guardia Costiera. Quel Minniti che ha svuotato il mare dalla solidarietà e lasciato i migranti a morire nei lager, spacciandosi come un trionfatore e sventolando la bandiera feroce delle cifre sugli arrivi. Cifre ridotte, dimezzate, cifre che, recitate superficialmente, sono state accolte come una vittoria, una soluzione al problema dei morti in mare e della tratta.
Cifre che invece dicevano e dicono il contrario, puzzano di morte e indifferenza e hanno dentro il dolore e le urla dei naufraghi, delle donne stuprate, dei bambini e degli uomini uccisi, torturati, annegati. In Libia o poco più avanti, lontano dagli occhi e dalle coscienze. Luciana Lamorgese è stata accolta bene, perché ha la fortuna di succedere ad un ministro imbarazzante, un assenteista incallito, allergico al lavoro, che ha mostrato tutta la sua incapacità di ricoprire un ruolo istituzionale, che richiede competenza, lavoro, impegno, sobrietà, intelligenza, mediazione. Tutte doti che la Lamorgese ha, ma che non sono garanzia di discontinuità. Ecco perché prima di trasformare l’entusiasmo per la dipartita politica del vecchio ministro in una laude sconfinata della nuova capa del Viminale, forse sarebbe stato meglio aspettare. Per capire se davvero ci possa essere una inversione di tendenza.
Al momento le indicazioni sono negative. Nel senso che la nuova ministra sta proseguendo nel solco di chi l’ha preceduta. Lo dimostra il fatto che ha subito negato l’approdo alla nave Alan Kurdi, della ong tedesca Sea Eye, che dal 31 agosto chiedeva di poter attraccare in porto. La nave, quando ha chiesto l’approdo alla neoministra, aveva a bordo ancora 5 dei 13 migranti salvati da un naufragio. La Lamorgese ha risposto con un freddo no, basando la sua scelta sul decreto sicurezza voluto dal precedente ministro. Quel decreto che contiene dei vizi sottolineati dal presidente Mattarella e che il premier Conte ha assicurato di voler risolvere seguendo proprio le indicazioni del Capo dello Stato. Alla fine la nave, il 10 settembre, è stata accolta a Malta. E non è certo una vittoria, perché i giorni di abbandono in mare sono un’ennesima macchia per il nostro Paese. Vedremo se replicheranno anche con la Ocean Viking, ancora in mare con 84 naufraghi a bordo.
Ad ogni modo, la sensazione è che sul tema dei migranti non cambierà nulla. Sostanzialmente per due motivi: perché elettoralmente non conviene a chi pensa che il popolo vada assecondato e non educato; e perché le due forze politiche al governo sono abbastanza d’accordo con la linea dell’ex occupante (una tantum) del Viminale. Stupisce come la terza forza integra al governo, ossia LeU, che da mesi fa battaglie sull’apertura dei porti, non fiati e accetti decisioni simili (Fratoianni ha parlato, ma evidentemente si è ascoltato solo lui). Decisioni i cui effetti sono ricaduti sulla pelle di cinque migranti. Cinque. Troppo pochi per scatenare i teorici dell’invasione, ma evidentemente abbastanza per sollecitare la codardia di chi non è capace di assumere una posizione forte di umanità e di rispetto delle convezioni internazionali sui diritti umani e sui rifugiati e delle leggi sul soccorso in mare. Non è cambiato nulla, se ci riflettiamo. Solo le forme. Ma mai la sostanza. E non solo in Italia. Anche in altre aree del Mediterraneo, la violenza contro i migranti si scatena quotidianamente.
Come nel caso del mar Egeo, dove la Guardia Costiera turca respinge i migranti e lo fa con le spranghe, colpendo e bastonando chiunque provi disperatamente ad avvicinarsi alla motovedetta per mettersi in salvo. Lo fa con i bastoni e con i soldi (svariati milioni di euro) che l’Europa ha versato a Erdogan per fare il lavoro sporco. Per fermare uomini, donne e bambini in fuga dalla guerra siriana e dall’IS, nei modi più duri, con licenza di uccidere, purché l’Europa ufficialmente ne rimanga fuori e possa mantenere la facciata di continente civile e moderno. Siamo precipitati nell’indifferenza e nell’ipocrisia, che sono i germi delle epoche più drammatiche e feroci.
E non è certo qualche nome nuovo a dare speranza. Perché poi a contare sono i fatti. E né in Europa, né in Italia i fatti sembrano destinati a cambiare in meglio con il mutare dei protagonisti. Il potere rimane spietato e gli ultimi subiscono ancora. Non è cambiato nulla. Se non il nostro livello di indignazione, che sembra essersi scolorito, forse per colpa di quella illusione che, una volta eliminato il nemico più visibile, la guerra sarebbe finita. Bene, non è così. Prendiamone coscienza.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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