Non è semplice crescere all’ombra di una ciminiera, ancor meno lo è crescere sotto l’ombra di quella del più grande stabilimento petrolchimico d’Europa, il cosiddetto quadrilatero della morte: Siracusa-Priolo-Melilli-Augusta. Non tutti possono comprendere il senso di impotenza che si prova quando, alzando gli occhi al cielo, si scorgono scie più o meno scure fuoriuscire dai camini. Né il senso di paura e rabbia che contestualmente pervadono durante le calde notti estive quando, cercando il sollievo di un po’ di fresca aria notturna, si aprono le imposte e si viene investiti dal nauseabondo olezzo delle emissioni industriali. Sentimenti che i cittadini di questa provincia conoscono purtroppo molto bene. Eppure, inspiegabilmente, questo pericoloso e “scomodo” colosso petrolchimico che da 60 anni violenta il loro territorio è coperto da uno scudo di assordante silenzio e di sconfortante indifferenza.
Si sente spesso parlare dell’Ilva e dei terribili danni, in termini ambientali e di salute, che ha provocato a tutto il territorio tarantino. Sui media se ne discute, soprattutto per merito della forte realtà associativa tarantina che continua a lottare per tenere accesi i riflettori sulla situazione. Una attenzione mediatica e politica che, invece, non viene riservata alla altrettanto pericolosa situazione siciliana. Nel tentativo di aprire uno squarcio su questo muro di indifferenza, qualche tempo fa è stata lanciata una petizione on-line sulla piattaforma di Change.org (ce ne siamo occupati su queste pagine, leggi qui). Questa petizione chiedeva sostanzialmente a tutti gli organi competenti di porre fine al proprio atteggiamento di inerzia e di attivarsi, ciascuno secondo il proprio ambito di azione, al fine di predisporre la transizione ecologica dell’area industriale ma anche di avviare serie indagini epidemiologiche, visto che nei quattro comuni interessati (Siracusa, Priolo, Melilli ed Augusta) ci si ammala (e tanto).
La petizione in questione ha avuto uno straordinario successo, potendo contare sulla firma di oltre 170mila utenti. La grande partecipazione riscontrata ha portato Change.org a proporre ai firmatari della petizione, in particolare a quelli siciliani e della provincia di Siracusa, un sondaggio sull’argomento, composto da nove semplici quesiti dai quali emergono dei dati e delle tendenze molto interessanti. Vediamo di riassumere le principali indicazioni derivanti dal sondaggio. Il dato di partenza è che un elevato numero di utenti consultati (circa il 90%) ritiene che la politica non presti la dovuta attenzione alla situazione ambientale della provincia siracusana. Elemento molto importante è che sono moltissimi quelli che chiedono un maggiore coinvolgimento dei cittadini e dei movimenti nelle scelte che riguardano la salute e la tutela del territorio.
Nell’individuazione delle responsabilità per la situazione attuale, gli intervistati non hanno fatto sconti a nessuno: malgrado siano stati indicati come maggiormente colpevoli i governi nazionali e regionali, in molti hanno puntato il dito anche sugli organi di vigilanza e (con percentuali meno significative) sulle organizzazioni di categoria. Una distribuzione maggiore nelle risposte degli utenti si è avuta riguardo al tema delle necessarie iniziative da attuare in termini di tutela ambientale e della salute, poiché tutte le soluzioni proposte, dallo smantellamento degli impianti altamente inquinanti alla bonifica del territorio fino ad arrivare alla realizzazione di un sistema di controllo seriamente efficace, sono state considerate ugualmente importanti e necessarie. Tuttavia, la maggior parte degli intervistati ritiene che una seria transizione ecologica della zona richieda lo smantellamento di tutti gli impianti e la loro riconversione in impianti ad energia pulita. Per quel che concerne, infine, l’individuazione delle responsabilità economiche, un elevato numero di intervistati ha ritenuto che le spese per disinquinare l’intera area e per risarcire le vittime debbano essere a carico dello Stato e delle industrie, corresponsabili della grave situazione.
Sollecitato dal portale che ha avviato petizione e questionario, sull’argomento è intervenuto Sergio Costa, ministro dell’Ambiente. “Purtroppo- ha affermato il ministro – come sapete, si tratta di un problema complesso a cui non si possono dare risposte rapide in tempi brevi. Sarebbe disonesto dire il contrario. Ma provare a fare qualcosa si può, a partire dalla sburocratizzazione e semplificazione dei procedimenti legati alle bonifiche”. “Il nostro obiettivo – ha continuato Costa – è difendere l’ambiente, creare posti di lavoro, tutelare la salute umana. Lo dobbiamo ai nostri figli, per i quali bisogna creare le premesse per il rilancio economico, all’insegna della sostenibilità, del territorio in cui vivono. Occorre, dunque, un impegno concreto, da parte di tutti i soggetti coinvolti, a partire dalle istituzioni locali, per raggiungere un risultato che sta a cuore tutti: il riscatto e la rinascita ‘verde’ della zona industriale di Siracusa”.
Affermazioni molto politiche ma molto poco concrete che non propongono, tanto meno promettono, soluzioni ma sembrano quasi “mettere le mani avanti”. Una risposta che sembra non tener conto della realtà: delle indagini della magistratura, degli impianti sottoposti a sequestro, del numero crescente di malattie e morti. Una risposta che non può bastare a chi nel quadrilatero della morte ci è nato, cresciuto e ci ha messo al mondo dei bambini, sperando che quel fumo grigio e quel fetore che ha accompagnato tutta la sua vita non danneggino troppo quella dei figli ed augurandosi, ogni giorno, di riappropriarsi del proprio territorio, di tornare a guardare il cielo o a respirare senza paura, tristezza o rabbia.
Anna Serrapelle- ilmegafono.org
Oggi tutti conosciamo Seveso, Minamata, Bhopal, Hiroshima, Chernobyl, la Val Bormida, la vicenda Farmoplant, la pericolosità della vita a Marghera, la nave Karin B o Deep Sea Carrier, la “rivolta di Manfredonia” …. Questi nomi si sono stampati nella nostra memoria e nella nostra vita perchè su di essi si è parlato, polemizzato, discusso non solo sui giornali, ma anche sulla TV di Stato.
Ma esiste anche un altro luogo della Terra, dell’Italia in particolare, di cui nessuno parla od osa parlare, di cui nessuno si interessa. Una pesante coltre di silenzio grava su una vicenda che, tutti, invece, dovremmo conoscere.
Solo qualche rara volta, ma sempre per disastri industriali, abbiamo sentito pronunciare le parole PRIOLO – AUGUSTA al Ministro Ruffolo, ai Verdi, all’annunciatrice del telegiornale.
La maggior parte degli italiani non sa neanche cosa sia o dove si trovi.
Non sono in molti in Italia a sapere che tra le province di Catania e Siracusa esiste la più alta concentrazione di raffinerie di petrolio dell’intera Europa, dove viene raffinata la quasi totalità del greggio importato in Italia.
Ben sette industrie ad alto rischio di incidente rilevante in appena 15 chilometri di costa, su un territorio soggetto già più volte a catastrofici terremoti, definito dal Ministero della Protezione Civile ad “alto rischio sismico” e che rientra nell’elenco delle zone ad “alto rischio di crisi ambientale” secondo il Ministero dell’Ambiente.
Un territorio che vede Priolo con i suoi 15.000 abitanti come epicentro, ma che abbraccia città come AUGUSTA (42.000 ab.), Siracusa Nord (70.000), Melilli (10.000), Belvedere (5.000).
Una testimonianza della gravità della situazione ambientale fu data nel 1979, quando Marina di Melilli (1.000 ab.) fu evacuata e rasa al suolo perchè circondata e soffocata dalle ciminiere di alcune industrie che incredibilmente vi furono installate a sole poche decine di metri di distanza!
Tutto cominciò nel 1949, quando l’industriale Moratti, approfittando della particolare situazione geografica del porto di Augusta vi installò la prima raffineria.
Il miraggio dell’industrializzazione per far uscire dal sottosviluppo il Meridione fu la causa principale di tutta una serie di errori di cui, oggi, si pagano pesantemente le conseguenze.
Su un’area ristrettissima, ad immediato ridosso di centri urbani densamente abitati, sorse quell’agglomerato industriale che, contravvenendo a tutte le leggi, con i suoi scarichi inquinanti durati quarant’anni, ha devastato forse irrimediabilmente tutto l’ecosistema della fascia costiera tra Augusta e Siracusa.
L’avvento dell’industria segnò pure la fine dell’agricoltura, della pesca, dell’estrazione del sale che costituivano le attività portanti dell’economia lavorativa locale.
Va ricordato pure che l’intera zona industriale sorge su una vasta area archeologica e su una stupenda costiera che opportunamente valorizzate avrebbero fatto di questo territorio un polo d’attrazione turistica senza rivali in tutto il Meridione.
È proprio di questi giorni (1987) la decisione regionale che mirerebbe a far installare su questo stesso territorio una di quelle piattaforme polifunzionali per il trattamento dei rifiuti industriali ed urbani di Siracusa, Catania e Ragusa, unitamente ad un inceneritore da 15.000 tonnellate complessive di rifiuti urbani, speciali e tossici e nocivi.
Cosa rappresenta per l’economia nazionale l’area industriale di Augusta – Priolo?
Da queste industrie l’Italia intera preleva il 60% dei carburanti; il 100% dei lubrificanti; paraffine, zolfo, ecc. per le lavorazioni di altre raffinerie come Manfredonia, Marghera, Gela, ecc. vale a dire che se questo polo petrolchimico si fermasse l’Italia intera ricaverebbe un danno gravissimo all’economia.
A livello finanziario basti ricordare che tramite il porto di Augusta, lo stato italiano incassa ben 1.100 miliardi ogni anno di soli diritti doganali, senza contare gli utili delle industrie e delle altre ditte ad esse collegate. (si tratta di decine di migliaia di miliardi)
Il dramma di Augusta e del territorio circostante è dato dalle cifre che la maggior parte degli italiani non conoscono:
nella sola città di Augusta si muore per neoplasie (specie dell’apparato respiratorio) più che in ogni altra parte d’Italia: secondo le statistiche ufficiali le morti per cancro oltre il 30% delle morti complessive!
Le proiezioni statistiche elaborate nel 1980 davano una mortalità per cancro del 40% nel 1990; per il 2000 tale percentuale avrebbe dovuto raggiungere il 49%!!!
Annualmente dal 1980 si riscontra una percentuale di nascite di bambini malformati superiore alla media nazionale (2,5%);
gli aborti spontanei sono aumentati; i medici del locale ospedale hanno accertato un forte e progressivo aumento delle malattie allergiche delle vie respiratorie e l’aumento delle dermatiti atopiche;
la durata della vita media nella zona è di cinque anni inferiore a quella nazionale.
Le varie morie di pesci degli anni passati succedutesi nel porto di Augusta sono ben poca cosa, a confronto con quelle dell’Adriatico, ma di queste non se ne è mai saputo per colpa di una informazione volutamente carente: il Sud non ha diritto a far sentire la propria voce!
È proprio questa voce che finora abbiamo cercato di far sentir invano!
La notte del 19 maggio 1985 in seguito al grave disastro dell’ICAM (oggi Enichem Anic) esplosero cinque serbatoi di etilene con fiamme alte più di 600 metri che illuminarono a giorno l’intera zona provocando il panico.
Tentammo di evacuare Augusta, ma non fu possibile per la mancanza di un secondo ponte riconosciuto necessario persino dallo stesso Zamberletti allora Ministro per la Protezione Civile!
In caso di nube tossica quella notte molte migliaia di persone avrebbero potuto perdervi la vita, ma le Autorità che già sapevano della situazione di emergenza fin dal giorno prima non fecero nulla per avvisare la popolazione.
Tentammo allora la carta di una grande petizione popolare:
fu fatta persino un’interpellanza parlamentare a risposta scritta dal sen. del MSI On. Rallo, ma la risposta non ci è mai pervenuta. Ricevemmo la solidarietà di un altro senatore On. Pietro Ferrara (PSI), appartenente ad un’altra circoscrizione, ma la Sovrintentenza ai beni culturali ed ambientali di Siracusa riuscì a bloccare il progetto del ponte vedendovi la “pagliuzza dell’impatto ambientale” mentre non riuscì a vedervi “la trave della devastazione selvaggia dei 15 chilometri di costa intasati dagli stabilimenti industriali, del mare irrimediabilmente inquinato, delle oltre novecento tonnellate di veleni scaricati ogni ventiquattro ore dalle ciminiere, dei fiumi assorbiti dalle industrie, della falda acquifera ormai irraggiungibile dalle trivelle dei contadini che non possono più irrigare i loro campi se non con l’acqua salata che si è infiltrata nel sottosuolo”.
Ciò vuol dire che la nostra vita e la nostra salute valgono meno del paesaggio, che il profitto deve sempre prevalere ad ogni costo e a qualunque costo.
Ma quello che più ci fa rabbia è la congiura del silenzio sulla nostra questione ambientale ordita dalla stampa, dalla televisione, dai mezzi di comunicazione che ci ignorano.
Le undicimila firme raccolte in poche settimane inviate a tutti gli ordini “competenti” non hanno scosso nessuna coscienza; le quattromila raccomandate al capo dello Stato, alle massime Autorità, nazionali e regionali, ai Sindacati sono rimaste senza risposta; gli esposti alla Magistratura giacciono in chissà quale dimenticatoio, ma qui la gente continua ad ammalarsi e a morire di cancro, senza speranza!
Per di più tra poco vedremo sorgere sul nostro territorio una piattaforma polifunzionale per smaltire i rifiuti tossici e nocivi non solo della nostra zona industriale, ma anche quelli delle province di Siracusa, Catania e Ragusa! e come se ciò non bastasse un inceneritore per complessive 15.000 tonnellate di rifiuti solidi urbani speciali, e tossici e nocivi a poche centinaia di metri dal centro urbano.
Abbiamo corso il rischio, per’altro non ancora scongiurato, di veder sbarcare qui anche le navi dei veleni. (estate 1988)
Evidentemente siamo troppo lontani dai centri di potere, di informazione, ecc.
Siamo troppo al Sud per far sentire la nostra voce.
Ma del nostro Sud si accetta volentieri ciò che giova al benessere di tutti: i prodotti petroliferi. Ma quanti sono a sapere su quale prezzo (di sangue) si fonda il loro “benessere”?
Al contrario, il dramma della Mafia, per gettar fango sul povero Sud, è notizia di prima pagina; la vita privata e la morte di un calciatore o attore anche; dell’uomo che vale per quello che ha, pure; ma la morte di un giovane che qui a trenta anni muore di cancro ai polmoni, dopo aver sofferto per lunghi mesi, non può e non deve fare notizia!
Ma per avere il diritto di vivere, di tutelare la salute, articoli, tra l’altro, sanciti dalla Costituzione, dovremmo per forza ricorrere alle manifestazioni di piazza, ai blocchi stradali, allo sciopero generale della zona industriale (quando gli operai non saranno più esposti al ricatto occupazionale?)?
Il Comune di Priolo ben due anni dopo averlo richiesto mediante petizione popolare, è riuscito ad ottenere un’indagine epidemiologica che invece le Autorità sanitarie avrebbero dovuto svolgere prima e di loro stessa iniziativa.
L’ospedale di Augusta ha negato l’accesso ai dati a partire dal 1983, quasi avesse interesse a nascondere qualche tragica realtà
Qui ormai la gente vive di paura;
paura di un disastro industriale; paura di perdere il posto di lavoro; paura di perdere il benessere che la sta uccidendo, paura di lottare per non subire chissà quali ritorsioni.
Assistiamo purtroppo ad un ribaltimento dei valori:
si preferisce sacrificare la vita, la salute ad un lavoro pieno di rischi e senza prospettive per il futuro.
Se il lavoro è stato considerato dall’etica uno strumento di liberazione ed un mezzo per vivere, qui, invece si è rivelato uno strumento di oppressione, che fa soggiacere gli operai al ricatto occupazionale, oltre che causa di una pesante cappa di inquinamento che ha avvelenato l’aria e il mare e che ha sterminato prima i pesci e che ora sta uccidendo sempre meno lentamente, tra l’indifferenza generale e nel silenzio, gli esseri umani che abitano in questo angolo di terra che nel passato fu invidiato da tutti per le sue bellezze.
Ma coloro che ogni giorno, con la loro auto vanno in giro, o che d’inverno si riscaldano la casa con i prodotti petroliferi “esportati” da questo Sud sperduto ed emarginato non lo sanno, o meglio, preferiscono non saperlo.
Augusta, 17.11.1988
PALMIRO PRISUTTO