Il decreto sicurezza, convertito nella legge n. 132 dell’1 dicembre 2018, denso di logiche autoritarie e razziste, non solo ha sferrato un attacco cinico e spietato contro i migranti, abolendo la protezione umanitaria e contrastando un sistema di accoglienza e di tutela dei diritti fondamentali della persona, ma ha anche reintrodotto o aggiunto norme liberticide. Tra queste, ad esempio, il reato di blocco stradale, prima depenalizzato e ora “appesantito” da pene molto severe che vanno da 1 a 6 anni o a 12 se attuato da più persone. Altro effetto del decreto è la comminazione di dure sanzioni penali per chi, per disperazione o per mancanza di alternative, sceglie di occupare una fabbrica per difendere il suo diritto al lavoro o una casa o un posto dove trovare un riparo per la propria famiglia.
Dal ministero dell’Interno sono infatti partite le direttive per una vasta azione repressiva, avvalendosi territorialmente delle ordinanze dei prefetti. Una delle ultime, tra le più discutibili, è quella emanata dal prefetto di Siracusa. Il provvedimento, prendendo spunto da alcune iniziative di protesta di lavoratori a rischio licenziamento e dalle manifestazioni nei piazzali degli stabilimenti industriali da cui rischiano di essere espulsi, ha collegato questi fatti con una fattispecie riconducibile al divieto di assembramento previsto dalla nuova legge in materia di sicurezza pubblica, sottovalutando che si era in presenza di una iniziativa di sciopero. Il richiamo, inoltre, a un possibile contrasto delle azioni di protesta con il diritto allo svolgimento dell’attività lavorativa degli altri lavoratori, non tiene conto che in queste situazioni si crea tra tutti lavoratori un meccanismo di solidarietà.
Sulla libertà d’impresa, richiamata dall’ordinanza, sarebbe opportuno interrogarsi come è possibile che grandi stabilimenti come Lukoil, Versalis e altri che gestiscono la politica degli appalti delle imprese appaltatrici, non facciano nulla in via preventiva per trovare giuste soluzioni. Considerare poi le eventuali manifestazioni di protesta come elemento di criticità per l’ordine pubblico in relazione al volume di traffico per l’aumento dei flussi turistici appare come una preoccupazione aprioristica e frettolosa. I postulati dell’ordinanza così incasellati, collegati a disposizioni di una circolare del Capo di gabinetto del ministro dell’Interno del 14 febbraio scorso, di cui non si evidenziano i contenuti, sfociano in un divieto totale di assembramento di persone e automezzi in tutti gli ingressi degli stabilimenti (Isab – Lukoil – Versalis – Syndial – rotatorie e arterie stradali confinanti) nei territori di Siracusa e Priolo.
Sembra quasi di essere in presenza di un provvedimento che trasforma riunioni o iniziative di sciopero e di protesta in adunate sediziose di antica memoria. Un provvedimento del genere non è stato mai concepito neanche nei periodi di grave crisi industriale e occupazionale, quando si doveva fronteggiare situazioni di vera tensione sociale. Appare legittimo che la Cgil e altre associazioni abbiano nei giorni scorsi realizzato presidi davanti alla prefettura evidenziando la preoccupazione che si voglia colpire il diritto di sciopero e la libertà di dissenso e che abbiano deciso di ricorrere al Tar contro l’atto amministrativo della prefettura. Appare stranamente non univoco l’atteggiamento delle altre organizzazioni sindacali, come ad esempio la Uil, che si limita a una assemblea nella mensa della Syndial, o come la Cisl, che si limita a protestare e a chiedere approfondimenti.
Eppure ciò che emerge da questa vicenda sembra la logica conseguenza della spinta a destra di questo governo che mette a rischio i diritti democratici e spinge a rendere torbido il clima nel Paese. Ci si aspetterebbe una generale mobilitazione del mondo del lavoro per rimettere in discussione i contenuti di una legge che in molte sue parti presenta i prodromi di una concezione da Stato di polizia. Il prefetto di Siracusa ricopre certamente il ruolo di responsabile della sicurezza e dell’ordine pubblico e di coordinatore delle forze di polizia, ma ci auguriamo che l’esercizio del rispetto della legalità tenga conto della differenza che esiste tra un assembramento per motivi sociali nelle aree degli stabilimenti e gli assembramenti in aree centrali o periferiche dove si compiono quotidianamente azioni illegali.
Salvatore Perna -ilmegafono.org
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