La lotta alla mafia non dovrebbe seguire tendenze o mode, dovrebbe sfuggire alla logica malata dei social. Eppure, nella società dei “mi piace” e dei “followers”, in un contesto in cui l’apparenza ha sempre più spesso la meglio sulla sostanza, anche un argomento così serio viene spesso strumentalizzato in modo davvero imbarazzante. Solo pochi giorni fa, il 23 maggio, è ricorso un triste anniversario, quello della strage di Capaci. Sono trascorsi 27 anni dal giorno in cui un ordigno esplosivo fece saltare in aria un tratto di autostrada uccidendo il giudice Giovanni Falcone, sua moglie, Francesca Morvillo, e tre dei suoi agenti di scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Come ogni anno, più che una ricorrenza di riflessione e di forte impegno nel contrasto alle mafie è stato purtroppo il festival dell’ipocrisia.

Facebook e gli altri social network sono stati letteralmente invasi da immagini in bianco e nero del giudice, da strazianti fotografie dell’attentato o da citazioni più o meno suggestive. Tutti sembravano antimafiosi per un giorno e dietro i monitor, ma nei fatti? Quanti lo sono per davvero?

Nella realtà il 24 maggio molti tornano a fare le stesse cose di sempre: pagare il parcheggiatore abusivo o il “pizzo”, chiedere aiuto al politico di turno, barattare il proprio voto con un qualche favore, accettare compromessi per un tornaconto personale. Questo commemorare del tutto apparente purtroppo riguarda sia il singolo cittadino sia le istituzioni.  Da anni ormai i familiari denunciano infatti la tristezza di queste cerimonie trasformate in contenitori sterili e sempre più “vuoti” di messaggi concreti e di reale riscatto dal giogo mafioso. Quest’anno, a storcere il naso e ribellarsi al programma della commemorazione, organizzata come sempre nell’aula bunker di Palermo, è stato per primo Claudio Fava, il presidente  della Commissione regionale antimafia, che ha affidato il proprio sdegno ad un lungo post su Facebook, nel quale ha espresso la propria intenzione di disertare la manifestazione ufficiale preferendo recarsi a Capaci, nel luogo in cui tutto è avvenuto.

“Hanno trasformato – ha scritto Fava – il ricordo del giudice Falcone nel festino di Santa Rosalia. Al posto dei vescovi e dei turibolanti che spargono incenso, domani ci saranno i ministri romani, gli unici che avranno titolo per parlare (con la loro brava diretta televisiva) e per spiegarci come si combatte cosa nostra. Cioè verranno loro, da Roma, per spiegarlo ai siciliani, a chi da mezzo secolo si scortica l’anima e si piaga le ginocchia nel tentativo di liberarsi dalle mafie”.

Fava non è stato l’unico a dirsi indignato per certe “scelte” organizzative (tra le quali l’invito al ministro dell’Interno, Matteo Salvini): la manifestazione è stata disertata anche da Nello Musumeci, il presidente della Regione, che ha spiegato di averlo fatto per le troppe polemiche irrispettose nei confronti del giudice e degli agenti morti. Musumeci ha preferito ricordarli andando alla caserma Lungaro per la deposizione della corona d’alloro da parte del capo della polizia e lavorando, ha affermato, “per tentare di tirar fuori i ragazzi dal condizionamento da parte della criminalità organizzata che si nutre e alimenta della disperazione dei giovani soprattutto nelle periferie dove lo Stato ha difficoltà ad arrivare”.

Polemiche tra le istituzioni, interventi più politici che sentiti e tanta, desolante, mancanza di reale partecipazione al dolore dei familiari e di effettivo impegno antimafioso. Questi i messaggi delle celebrazioni. Messaggi biasimevoli ma anche piuttosto gravi che rischiano di indebolire ciò che dovrebbero celebrare. Ed in effetti, proprio a ridosso di questa data così significativa, non sono mancati i soliti messaggi offensivi, atti vandalici che hanno violato luoghi simbolo con un tempismo preoccupante. Lo scorso 18 maggio, a Trapani, è stato imbrattato con della vernice nera un murales dedicato a Francesca Morvillo, moglie del giudice Falcone. Sul suo volto sono stati disegnati baffi e barba ed una parolaccia in basso ha reso il “messaggio” ancora più oltraggioso. Il 21 maggio, inoltre, a Ficuzza, in provincia di Palermo, è stata distrutta la targa in onore di Ninni Cassarà, capo della squadra mobile di Palermo ucciso dalla mafia nel 1983.

Due episodi piccoli ma esecrabili e molto eloquenti. La mafia è reale, non è pensabile contrastarla con celebrazioni vuote o a suon di citazioni. Sono necessari quotidiani atti di impegno concreto ed una costante educazione alla legalità. Ed è necessario dare l’esempio ogni giorno. La lotta virtuale alla mafia “non ci piace”, torniamo a combatterla davvero.

Anna Serrapelle- ilmegafono.org