La folle corsa all’opinione non si arresta. Basta un titolo di giornale, una mezza cosa sentita sul tram e sono pronte le sentenze del buon senso collettivo. Il caso delle ultime settimane è stata la presunta scarcerazione di Riina ad opera dei “manigoldi” della Corte di Cassazione. I fori dei social si sono scatenati. Qualche sassolino di Forum è andato ai paragoni più arditi, gli appassionati di yoga hanno richiamato tutti alla pietà, mentre i fruttariani si sono detti contrari assieme ai pubblicatori seriali di cuccioli di gatto.

Tale scalpore merita approfondimento. In breve: la prima sezione penale della Corte di Cassazione ha accolto l’istanza dei legali del boss Totò Riina (che si trova in carcere sotto il regime di 41-bis dal 1993) e ha perciò ordinato al Tribunale di sorveglianza di Bologna di motivare meglio la negazione del differimento della pena (ossia l’uscita dalla prigione e il passaggio a un regime di domiciliari). La sentenza si trova agilmente sul sito della Cassazione e val la pena di prendersi qualche minuto per leggerla (clicca qui).

Premessa: la corte di Cassazione, nello Stivale, non esamina il merito ma la legittimità. La corte, quindi, non decide se Riina è malato o meno, ma rispedisce al mittente nel caso specifico, semplificando, un giudizio non sufficientemente motivato. Innanzitutto il ricorso promosso dal difensore di Riina, si legge, “denuncia con un unico motivo,violazione di legge, con riferimento agli artt. 147 cod. pen. e 47-ter comma 1 ter, legge 354 del 1975 nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione”. La Cassazione accoglie il ricorso, ma leggendo le motivazioni sembra più dire: “vedete di scriverla meglio quella sentenza”.

Ciò vale a dire (e guarda caso è questo il compito dei suoi giudizi) che non interessa il merito quanto invece verificare che il procedimento si svolga nel rispetto del diritto. Strano? Il rispetto di una procedura pare essere il minimo indispensabile per condannare, ancora una volta e da un punto di vista morale, chi invece le sentenze le eseguiva con le armi e con l’approssimazione del criminale sanguinario (Nel caso ciò non piacesse si proponga riforma della Costituzione).

Suscitano particolare scalpore i (presunti?) richiami a dover riconoscere il diritto a una morte dignitosa. Se di dignità si parla (banale copia e incolla), nel testo della corte la parola viene citata due volte: “Il Tribunale (…) ha errato nel ritenere che le deficienze strutturali del luogo di restrizione non siano rilevanti ai fini del decidere sull’istanza del ricorrente avente ad oggetto proprio l’esecuzione della pena in luogo diverso, ed ha errato altresì, nel non rinviare la propria decisione all’esito di un accertamento volto a verificare (…) se e quanto la mancanza di un letto che permetta ad un soggetto molto anziano e gravemente malato, non dotato di autonomia di movimento, di assumere una diversa posizione, incida sul superamento o meno di quel livello di dignità dell’esistenza che anche in carcere deve essere assicurato”.

E ancora: “[…] piuttosto, avere riguardo ad ogni stato morboso o scadimento fisico capace di determinare un’esistenza al di sotto della soglia di dignità che deve essere rispettata pure nella condizione di restrizione carceraria”

Se poi cerchiamo, invece, la parola “dignitosamente” ecco che la troviamo una sola volta: “Anche in ordine a tale aspetto, il Collegio ritiene di dover dissentire con l’ordinanza impugnata, dovendosi al contrario affermare l’esistenza di un diritto di morire dignitosamente che, proprio in ragione dei citati principi, deve essere assicurato al detenuto ed in relazione al quale, il provvedimento di rigetto del differimento dell’esecuzione della pena e della detenzione domiciliare, deve espressamente motivare”.

Al di là dei dubbi su certe parole e dei sospetti su un’attenzione che Riina ha e altri non hanno avuto, qui tutto sembra fuorché si voglia assolvere Riina, come pure molti credono. Mattia Feltri, sulla Stampa, in un interessante Buongiorno sulla questione, ha scritto: “Chissà come, sui giornali la notizia diventa che la Cassazione libererà Riina. E parte un dibattito surreale fra politici, magistrati in carriera e in pensione, avvocati, opinionisti, sociologi, passanti e semplici conoscenti, coralmente allibiti dalla demenza (e delinquenza) dello Stato. Un abbaglio globale e comico che spiega molto dei nostri tempi”

La metafora più adatta e più tragica di questa corsa all’opinione sulla base dello strillo è la tragica vicenda di Piazza San Carlo a Torino. Panico, fuggi fuggi generale, eppure non era successo nulla. Oggi, a proposito, è morta Erika, schiacciata dalla follia della massa impaurita e irragionevole in quella tragica notte. Ci sentiamo a rischio, impauriti, minacciati, presi in giro e siamo pronti a scattare al primo segnale. Abbiamo ancora la ragione, usiamola.

[Chi scrive non è un esperto di diritto e si espone volentieri alle critiche, nel merito, che verranno mosse, ma dichiara l’impegno ad attenersi ai fatti]

Penna Bianca -ilmegafono.org