Nessuno lo avrebbe immaginato fino a pochi mesi fa. Un paese di 80 milioni di persone, con un governo forte e autoritario appoggiato dall’Occidente, che non mostrava segni di cedimento, ma anzi sembrava invincibile e indistruttibile, nel giro di 48 ore è quasi crollato come un gigante dai piedi d’argilla. Nell’arco di poche settimane, centinaia di migliaia di giovani si sono ribellati al potere del presidente-sovrano e soprattutto a delle condizioni di vita umilianti e ormai insostenibili. Il 25 gennaio, pochi giorni dopo il crollo del regime di Ben Ali in Tunisia, duemila manifestanti, convocati dall’opposizione egiziana, si sono riuniti in piazza della Liberazione, al Tahrir, al Cairo, la capitale, per chiedere le dimissioni del presidente Hosni Mubarak.

I promotori della manifestazione, utilizzando la rete Internet, avevano proclamato martedì 25 gennaio “la giornata della collera”, per protestare contro il carovita e la disoccupazione, invitando gli egiziani a seguire l’esempio della rivoluzione dei gelsomini tunisina. E già nei giorni precedenti, operai, contadini, studenti e tassisti erano scesi in piazza, in altre città del Paese, per chiedere migliori condizioni di lavoro e di vita. E se, al Cairo, il 25 gennaio, duemila persone gridavano, rivolti a Mubarak, “Vai via non ti vogliamo”, sei giorni dopo, il primo febbraio, erano oltre un milione in piazza al Tahrir e molti di più nelle città di tutto il paese a urlare la loro rabbia, nonostante il blocco totale delle comunicazioni e della rete Internet e nonostante i morti. I dimostranti hanno sfidato il coprifuoco imposto dal regime di polizia e sono rimasti dov’erano per giorni e giorni.

La loro determinazione, unita al rifiuto delle forze di sicurezza di sparare sulla folla, è stata decisiva e ancora oggi, piazza della Liberazione, al Cairo, è attraversata da un fiume di gente che chiede il crollo del regime. Come scrivono molti giornalisti arabi, la rabbia repressa degli egiziani è finalmente esplosa. “I vertici del regime erano convinti di essere riusciti a decapitare i movimenti giovanili d’opposizione e gli altri partiti politici – scrive il giornalista egiziano Mohammed al Dessouqi -. Avevano tenuto il popolo sotto pressione costante e gli avevano rubato libertà e speranze”, anche con la complicità di molti governi occidentali, interessati alla stabilità della regione e terrorizzati da un’ascesa dei Fratelli Musulmani (partito islamico, considerato fuorilegge, che però ha molto seguito in Egitto e che conta su diversi deputati in parlamento).

Ora invece, i riflettori del mondo sono puntati sugli egiziani. Con ammirazione, forse con un po’ di paura e di ansia, l’intera regione mediorientale e magrebina e l’Occidente hanno volto lo sguardo verso il Cairo, Giza, Alessandria e Suez, non più per il petrolio o le piramidi, ma per capire quello che sta succedendo. Nel mondo arabo è in atto una rivoluzione, e non siamo noi a dirlo, da un Paese invecchiato e atrofizzato come è l’Italia in questo momento, ma gli arabi stessi. Non si sa come andrà a finire questa rivoluzione e se i giovani riusciranno a conquistarsi finalmente il diritto a un futuro dignitoso.

In Egitto si spera in una transizione moderata e nel contenimento dei movimenti musulmani e integralisti, anche perché il Cairo è l’unico alleato di Israele nella regione e un nemico dell’Iran. Non sappiamo quindi se Mubarak sarà cacciato o semplicemente sostituito da un alleato fidato alle prossime elezioni presidenziali. Quello che è certo però è che le popolazioni dei Paesi arabi si sono risvegliate e hanno deciso di combattere, spontaneamente, i loro “tiranni”, nonostante la povertà e la paura.

redazione-ilmegafono.org