Nell’Europa fortificatasi con l’oro del colonialismo, con la violenza, lo sfruttamento e la rapina ai danni di milioni di persone e chilometri di terre, adesso c’è chi tiene la porta chiusa. E lo fa con altrettanta violenza e con l’atteggiamento e l’ideologia che, nel Novecento, sconvolsero il vecchio continente, lo riempirono di sangue e scheletri, di odio e dolore. Estrema destra, nazionalismo marcio. Estremisti in divisa. Formazioni paramilitari che si addestrano e girano indisturbate nei meandri di quella che sembrava una società moderna fondata sulla civiltà della memoria. Uomini e donne in mimetica che si aggirano, armi in pugno, sulla linea di confine dell’Est, laddove i profughi giungono, dalla Turchia, per trovare riparo e accoglienza.
Li abbiamo visti, grazie alla trasmissione “Presa Diretta”, li abbiamo sentiti parlare di difesa del nostro futuro e di quello dei nostri figli, di difesa dell’Europa dalla islamizzazione che i migranti produrrebbero nella nostra società, di tutela della nostra economia “minacciata” da questa moltitudine di persone venute qui solo per “succhiare assistenza”. Non è più soltanto l’ignoranza a far trasalire, non è più la rabbia per queste bugie veicolate a dispetto di dati, eventi, fatti, realtà. No, ciò non stupisce più in quest’epoca nella quale la menzogna è creduta sempre e comunque più di qualsiasi verità evidente che la smentisca.
Inutile spiegare che non esiste alcuna invasione, come dimostrano i numeri, alcun pericolo di islamizzazione (i musulmani, ad esempio, in Italia sono meno del 3% della popolazione complessiva), alcun impatto negativo sull’economia (anzi, prendendo sempre come esempio l’Italia, l’11% del Pil è prodotto dai migranti e il dato è ancora più significativo in altri paesi europei). Inutile dialogare con chi punta sulla paura irrazionale e sull’egoismo di una società sempre più liquida e individualista, per costruire il consenso nel modo più semplice, vale a dire attraverso la regola del “capro espiatorio”, un comodo “altro” a cui addossare tutte le mancanze del proprio fallimentare modello politico, economico e sociale.
Qui siamo in presenza di qualcosa che va oltre i ragionamenti, le diplomazie, le parole. Siamo in presenza di eserciti irregolari, di gente armata non autorizzata che si permette, grazie all’indifferenza complice dell’Ue e delle polizie di frontiera, di puntare le armi contro chi è in possesso solo della propria speranza. Si permette di respingere o di fermare e denunciare popolazioni in fuga che avrebbero il diritto quantomeno di fare richiesta di asilo, di poter raccontare la propria storia, di non essere ricacciate indietro arbitrariamente verso la Turchia, paese indebitamente considerato “sicuro” da questa imbarazzante Unione Europea. Contro tali armate illegali di xenofobi, presso cui si recano, per “formarsi”, anche leader e militanti di forze di estrema destra di mezza Europa, non si può più reagire con il dialogo, né pensando che le istituzioni europee così dirette possano risolvere la cosa in modo energico e salvaguardando i diritti di chi viene dall’esterno dei nostri confini.
Non accadrà, non di certo a breve, se è vero che tutti i governi nazionali hanno ormai imboccato la strada della retorica della sicurezza e del marketing della paura. Non solo i governi, ma anche le opposizioni: essi infatti si scontrano non sull’assurdità di una politica di chiusura, che ritengono invece necessaria, ma sulla più o meno estrema modalità di praticarla. L’Italia ci fornisce, ancora una volta, l’esempio più calzante. La misura adottata da Gentiloni e Minniti sulla Libia, sui rimpatri e sulle procedure interne relative ai rifugiati, non ha trovato la convinta opposizione di alcun partito rappresentato in Parlamento. Anche all’interno del Pd, le correnti che contestano l’ala renziana (a cui è legato l’attuale premier) e chiedono un ritorno all’apertura del partito verso sinistra non hanno detto una parola contro le norme proposte da Minniti e contro gli accordi con la Libia. Silenzio assoluto.
Nel dibattito politico la questione immigrazione non è più incentrata sui diritti bensì sulla sicurezza e sulla riduzione dei flussi, sulla “esternalizzazione” del “problema”. È su questo molle terreno politico, sul funesto passo di marcia dei paramilitari e sull’indifferenza criminale dell’Ue che claudica la civiltà europea, con tutto quel che resta del suo pregiato repertorio illuminista, dei suoi principi solidaristici e della sua tragica e recente memoria. Di fronte a una situazione simile, che determina ingiustizia e oppressione, alle quali i popoli che subiscono, prima o poi, dovranno reagire, l’Europa e il suo vento xenofobo e fascista rischiano di soffiare su un futuro di guerra. A poco meno di 80 anni di distanza dall’inizio di un conflitto terribile.
Vorremmo allora ricordare ai nostalgici, che furono proprio fascismo e nazismo a portare l’Europa al collasso; agli indifferenti, invece, vorremmo ricordare che furono l’egoismo delle potenze europee e il tacito assenso e l’indifferenza rispetto all’antisemitismo a produrre i mostri peggiori. Se si fosse intervenuti prima, probabilmente non avremmo avuto il secondo conflitto mondiale. Ecco, oggi, seppur le condizioni storiche e geopolitiche e le dimensioni dei nazionalismi sono diverse, i germi sono però ugualmente infetti e la portata del loro odio verso il bersaglio scelto produce identica mostruosità. Pertanto, forse, chi non accetta la direzione presa da questa Europa dovrebbe organizzarsi e andare oltre le parole.
Non si vuole certo incitare alla guerra o alla guerriglia, per carità, ma credo sia giunto il momento di spingersi fisicamente in quelle lingue di confine a contrastare a muso duro i paramilitari, ponendosi tra loro e i migranti e costringendo i fanatici in divisa a indietreggiare. Almeno così si costringerà l’Unione Europea a intervenire e a prendere posizione tra l’illegalità violenta e la difesa di un principio riconosciuto internazionalmente dalle carte a tutela dei diritti umani. Continuare a essere spettatori, mentre altri agiscono con malvagità, non è il modo migliore per difendere l’umanità oppressa e il nostro stesso futuro.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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