“Alla fine Volkswagen non sarà più quello che era”, sono queste le parole del ministro delle Finanze tedesco, Wolfang Schauble, pochi giorni fa sul caso della casa automobilistica tedesca, al centro di una bufera economico-legale da più di una settimana ormai. Secondo l’azienda, fondata da Hitler nel 1937, sarebbero 11 milioni i veicoli accusati di non aver rispettato i limiti imposti dalla legge per quanto riguarda le emissioni NOx. Il caso è finito subito al centro dell’attenzione dei media mondiali e, oltre al crollo finanziario del titolo, in questi giorni si parla anche di danni all’intera economia germanica. Ripercorriamo le tappe, gli eventi e cerchiamo di comprendere gli aspetti di carattere macroeconomico che la questione ha tirato in causa.
Le emissioni in questione sono il NOx, ovvero l’ossido di azoto, emissioni sotto strettissimo controllo sia in Europa che negli USA. I primi controlli europei dell’Icct (International Council on Clean Transportation), organizzazione indipendente che si occupa di trasporti e sostenibilità, hanno riscontrato delle divergenze nelle emissioni tra le prove in strada e in laboratorio. Per strada inquinano, in laboratorio no. Il sospetto, grazie a un coordinamento tra agenzie indipendenti, arriva negli USA e trova le sue conferme definitive. I tedeschi smentiscono parlando di problemi tecnici collegati al software. Così interviene l’EPA, l’agenzia governativa americana per la protezione dell’ambiente, minacciando di bloccare le vendite. I tedeschi capitolano. Erano riusciti a escogitare un algoritmo capace di riconoscere se la vettura fosse sotto esame o meno.
Strategia diabolica, ma fallace dinanzi al sofisticato apparecchio PEMS (Portable Emission Measurement System). A questo punto, il CEO Martin Winterkorn si dimette. I conti parlano di circa 18 miliardi di dollari di multa per i veicoli americani che non erano a norma. Il titolo è in caduta libera, le agenzia di rating lo tengono sotto controllo, l’UE incoraggia tutti gli stati a effettuare le opportune indagini. Oltre ai danni economici, Volkswagen, la macchina del popolo tedesco, subirà danni incalcolabili d’immagine.
A quanto pare, però, non è solo la VW a essere coinvolta nei controlli; già rinominato “Dieselgate”, lo scandalo si potrebbe infatti estendere a Opel, Bmw, Audi, Seat e Mercedes-Benz. Molte sono case di produzione del gruppo Volkswagen. Il giornale britannico “The Guardian” tira in mezzo l’UE dicendo che negli ultimi anni le pressioni dei governi tedeschi per evitare il ritiro delle auto sono state intense, tanto da far sembrar la questione un vero e proprio segreto di pulcinella tra le altissime sfere di Bruxelles. La Commissione europea, tramite Elżbieta Bieńkowska, afferma che, “come dimostrano i rapporti diffusi in questi giorni, le discrepanze sulle emissioni dei motori diesel ci erano note da anni”.
“Ma la verità – prosegue – è che alla Commissione mancano le risorse. Non abbiamo avuto i soldi per fare il nostro lavoro, finora le verifiche per definire le Real Drive Emissioni (i nuovi test di guida reale) abbiamo potuto farle con il contagocce”. La questione è sempre meno eclatante, sempre meno scandalistica e più politica. Il governo tedesco intanto rassicura gli animi affermando la totale neutralità della vicenda in termini di impatto sull’economia nazionale, anche se il marchio di Wolfsburg è un simbolo dell’industria tedesca.
L’industria automobilistica, però, specialmente quella del paese di Angela Merkel, è in ginocchio e molti tra cronisti ed esperti parlano della punta di un iceberg, riferendosi ai fatti dei giorni scorsi. I punti interrogativi restano e sono tanti. Sicuramente l’attuale situazione di sovrapproduzione presente nel settore delle vetture, da un punto di vista internazionale, non ha facilitato un comportamento retto da parte delle aziende. Un danno di queste dimensioni, va ricordato anche ai gufi anti-tedeschi, è un danno di carattere europeo. A dimostrazione di ciò, subentra lo scarso interventismo della nostra istituzione madre di Bruxelles. La pretesa di avanzare ipotesi di carattere geo-politico è ancora avventata, anche laddove si legga il quadro attuale come una grande guerra economica.
Di sicuro, un grande pensatore dell’Ottocento, Benjamin Constant, vedendo nel commercio la stessa natura della guerra, aveva detto che in futuro ogni conflitto si sarebbe giocato sul mero piano economico. Il caso della Volkswagen potrebbe essere un esempio di questa lezione, ma è ancora troppo presto per giungere a queste conclusioni. La chiave di lettura si potrebbe tuttavia rivelare decisiva nella comprensione di una serie di meccanismi globali a cui è sottoposta la moderna economia attuale.
Italo Angelo Petrone -ilmegafono.org
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