A distanza di 18 anni, gli inquirenti della Dda di Caltanissetta sono giunti alla conclusione delle indagini riguardanti l’omicidio di Vincenzo Napolitano, sindaco di Riesi (CL) tra il 1989 e il 1991 ed esponente della Dc. Secondo gli inquirenti l’omicidio fu l’evento “estremo” che caratterizzò una guerra feroce tra le cosche principali del nisseno, in particolare tra il clan dei Riggio e quello dei Cammarata. Quel periodo, come tutti ricordano, fu in assoluto uno dei peggiori per l’intera Sicilia: ovunque, in ogni provincia, ogni giorno, la mafia colpiva con rapidità, con costanza, facendo crescere sempre più il numero dei cosiddetti “morti ammazzati”. E l’omicidio di Napolitano rientra proprio nel momento clou di quegli anni tetri, dato che fu colpito lo stesso giorno in cui morirono il giudice Falcone, la moglie e tre uomini della scorta: il 23 maggio 1992. Una semplice coincidenza? A quanto pare no. Piuttosto, l’idea più plausibile è che la mafia, da sempre molto attenta in ogni suo movimento, abbia deciso coscientemente il momento adatto in cui colpire il sindaco. In questo modo, infatti, data l’attenzione completamente rivolta all’omicidio Falcone, nessuno si sarebbe accorto di un agguato locale, quasi insignificante.
Un piano micidiale che avrebbe ed ha umiliato ancor di più la vittima, perché dimenticata e passata inosservata agli occhi dei media e dell’intera opinione pubblica. Inoltre, le dichiarazioni di un pentito, Leonardo Messina (capo della famiglia di San Cataldo), rafforzerebbero ancor di più l’idea che quella del 23 maggio non fu una semplice coincidenza. Messina, infatti, di fronte al giudice Borsellino, parlò di una riunione “interprovinciale” avvenuta nel febbraio dello stesso anno ad Enna ed alla quale parteciparono tutti i maggiori esponenti delle famiglie mafiose siciliane. Lì, in quella riunione, “cosa nostra” avrebbe stabilito il programma degli omicidi, includendo, come è poi avvenuto, quello del giudice e dello stesso sindaco di Riesi. La mafia, dunque, avrebbe pianificato attentamente i due assassinii e sarebbe così riuscita ad avvolgere nel silenzio la morte del primo cittadino nisseno. A differenza del giudice Falcone, Vincenzo Napolitano non fu però una figura nemica e pericolosa per la mafia in generale. Lo stesso, infatti, avrebbe avuto rapporti stretti con la famiglia dei Riggio, al punto che favorì un enorme giro d’affari: ogni ditta impegnata in lavori pubblici, infatti, pagava il 10% dell’importo dei lavori direttamente al sindaco, il quale girava il 3% del ricavato alla famiglia mafiosa.
Inoltre, una parte dei guadagni sarebbe stata investita per la causa dei latitanti Carlo Marchese e Francesco Annaloro, luogotenenti dei Riggio e acerrimi rivali dei Cammarata. Secondo gli inquirenti, l’eccessivo appoggio offerto ai fratelli Riggio e lo stretto rapporto economico che si era instaurato avrebbero dato il via ad una guerra tra le cosche, che si risolse con l’uccisione dello stesso sindaco. Dalle indagini, infine, risulta che i Cammarata avrebbero chiesto l’aiuto della famiglia Emmanuello, altra cosca nissena molto importante e stabilitasi da diversi anni a Genova, la quale avrebbe consegnato il materiale per l’omicidio. Diciotto anni dopo, la Dda di Caltanissetta è così riuscita a dare un volto ed un’identità ai mandanti e agli esecutori dell’omicidio: Pino e Vincenzo Cammarata, Davide Emmanuello, Salvatore Fiandaca e Nunzio Cascino. I cinque, pregiudicati ed esponenti di “cosa nostra”, già detenuti nelle carceri di Ascoli Piceno, Terni, Milano e Avellino, sono stati raggiunti, martedì scorso, da un’ordinanza di custodia cautelare. Nomi importanti, nomi dal passato sporco, corrotto dalla viltà mafiosa.
I primi due, già noti, sono gli esponenti di spicco dell’omonima famiglia. Pino, inoltre, secondo quanto dichiarato dal pentito Messina, sarebbe l’uomo che ottenne i due telecomandi per l’esplosivo che uccise Giovanni Falcone. Fiandaca, invece, farebbe parte di una famiglia importante e molto vicina alla cosca del boss Piddu Madonia, la quale avrebbe gestito per anni il Totonero (una pratica illegale del gioco delle scommesse in ambito sportivo) nella città di Genova, importando, proprio nel capoluogo ligure, droga proveniente dalla Sicilia. Emmanuello, come già detto, è stato uno dei maggiori esponenti dell’omonima cosca. Infine, Nunzio Cascino, uno dei due killer che materialmente uccisero il sindaco di Riesi (l’altro fu Francesco Vella, all’epoca dei fatti appena quindicenne ed arrestato qualche mese fa per aver tentato di uccidere l’europarlamentare Rosario Crocetta). Secondo gli inquirenti, “l’omicidio Napolitano si inquadra nel contesto della guerra di mafia che imperversò per Riesi e dintorni tra la fine degli anni ‘80 e la fine degli anni ‘90”. Il 1992 è lontano, ma allo stesso tempo vicino nella memoria, nel cuore di tutti noi.
Nel corso di questi anni non vi è dubbio che la mafia abbia leggermente allentato il numero di azioni omicide. Questo, ovviamente, non ha determinato un allentamento da parte delle forze dell’ordine e delle istituzioni. Anche perché in alcune zone si è ricominciato a sparare. Come nel catanese. Una persona è stata uccisa il 24 giugno scorso e tre agguati sono stati eseguiti nella sola giornata di giovedì, con un bollettino che sembra appartenere proprio ai drammatici anni passati: un morto e due persone ferite, tra cui una studentessa della facoltà di Lingue, colpita accidentalmente durante un agguato mafioso e tuttora in fin di vita. La situazione è davvero tragica ed è necessaria la risposta dell’intera società e l’impegno deciso della gente comune. La gente non può che essere stanca della mafia, della viltà e della violenza grazie a cui prolifera e comanda. La Sicilia, così come ogni parte d’Italia afflitta da questo male terribile, deve rialzarsi al più presto.
Giovanni Dato –ilmegafono.org
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