Poco più di una settimana fa, in occasione della giornata inaugurale di Expo 2015, una frangia di violenti infiltrati tra le file di manifestanti pacifici aderenti alle motivazioni del comitato “No Expo”, ha saccheggiato oltre un chilometro di strada a Milano, provocando danni ad attività commerciali, automobili e arredo urbano. I teppisti sono subito stati riconosciuti come “black bloc”, le famigerate tute nere il cui intento principale sembra essere quello di mettere in subbuglio città e comunità. Scongiurato il pericolo di morti e lesioni gravi, il ministro Alfano fa sapere che sono stati identificati 180 black bloc, mentre ne sono stati arrestati appena cinque. La Digos sta esaminando fotografie, filmati e immagini rilevate dai cellulari per approfondire le indagini e fermare i manifestanti accusati di devastazione: rischiano una pena massima di 15 anni. A completare il lavoro delle Forze dell’Ordine, anche test del DNA per comparare il materiale biologico analizzato su tute e maschere sequestrate.
I rappresentati di No Expo si sono subito dissociati dagli episodi di violenza, sottolineando la valenza pacifica della loro manifestazione, organizzata soprattutto per contestare le ragioni ambientali alla base dell’Esposizione Universale allestita a Milano. Il comitato, costituito da diversi soggetti tra cui sindacati, centri sociali, attivisti ambientali e rappresentanti della Sinistra, nasce nel 2007 opponendosi alla decisione dell’allora Sindaco, Letizia Moratti, di ospitare Expo nel capoluogo meneghino. I No Expo sono fermamente convinti che la manifestazione non costituisca un beneficio per il territorio, ma un’operazione di sciacallaggio e distruzione.
Sul sito ufficiale, infatti, si legge, “No Expo perché convinti, nell’era del web 3.0, che gli Expo siano residuati di un’epoca finita che, salvo eccezioni particolari (vedi Shangai), si risolvono in un flop economico-partecipativo, lasciando macerie sui territori (da Siviglia a Saragozza)”. E ancora, secondo l’organizzazione, il tema prescelto per l’edizione 2015, ossia “Nutrire il pianeta. Energia per la vita” è vuoto e fasullo, poiché un modello improntato sulla costruzione di strutture in cemento, sulla volontà di insegnare le tecniche di coltivazione moderne ai popoli del Sud del Mondo, sulla progettualità messa in campo soprattutto per quanto riguarda l’occupazione, è un azzardo in tempi di crisi.
Ma c’è dell’altro, stando sempre al manifesto consultabile sul sito, “(No Expo) perché Expo 2015 nasce viziato da un deficit di democrazia e da un grosso conflitto di interesse: nessun organo elettivo e di rappresentanza democratica ha mai votato di fare Expo 2015 a Milano; la scelta dell’area di Rho-Pero per svolgervi la rassegna è un grosso regalo a Fiera, proprietari di gran parte dei terreni, nel comitato promotore di Expo 2015, socia di Expo Spa e di Arexpo. Dal 2007 chiediamo a gran voce, che se proprio devono fare Expo, lo facciano in Fiera o in altre aree e superfici espositive, ma nessuno risponde nel concreto, salvo trincerarsi dietro ambigui non possiamo”.
Ad Expo 2015, secondo il comitato, manca la contestazione alle politiche dell’Agro-industria e alle coltivazioni OGM, dimenticando che l’imposizione di modelli agricoli su determinati suoli ha provocato carestie e carenze alimentari. Forte è, inoltre, la polemica sul lavoro: i 70000 posti promessi dai lavori e dalla manifestazione non sarebbero mai stati assicurati. I No Expo contestano inoltre le presunte infiltrazioni malavitose nei cantieri, oltre che la distruzione di parchi ed aree verdi.
Nel corso degli ultimi anni si sono alternate iniziative e dimostrazioni pacifiche per contrastare l’organizzazione di Expo, ma quella che ha fatto più rumore e riscosso clamore è sicuramente la degenerazione del 1° maggio. Un episodio erroneamente associato agli attivisti di No Expo, che, così come i sostenitori dell’evento, hanno il diritto di esprimere il proprio dissenso. Mai come in questo caso sarà il tempo a decidere quale delle due squadre abbia avuto ragione.
Laura Olivazzi-ilmegafono.org
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