La mafia è arrivata pure a Roma, nello stupore generale, come se fosse esploso un ordigno e le schegge avessero impietosamente lacerato l’imbambolata coscienza politica e civile della Capitale. Eppure lo stupore non solo è ingiustificato, ma sembra palesemente falso, artificiale. Perché che la mafia fosse dentro Roma e nel ventre della sua gestione economica e politica e che avesse precisi protagonisti, più o meno oscuri e trasversali, era un fatto evidente già prima dell’operazione “Mondo di mezzo”, che ha portato alle decine di arresti e ai cento indagati, tra cui l’ex sindaco Alemanno. Roma non può permettersi di continuare a negare, di fingersi sorpresa. Non può perché sono ancora tanti i retroscena da svelare, i sistemi criminali da smontare e consegnare all’opinione pubblica e alle aule giudiziarie.
Ci sono già state molte inchieste giornalistiche sulla mafia romana, sulle infiltrazioni, sulle procedure di nomina e sullo spessore dei nominati, insomma sulla gestione del potere. Dei rapporti tra Alemanno e certi personaggi quantomeno discutibili, per il loro passato nel mondo dell’eversione nera, delle loro nomine incomprensibili, si è scritto molto, ci sono state polemiche e solo gli sprovveduti o i timidi non sono stati toccati dal sospetto che dietro vi fosse un sistema organizzato. Sono stati scritti anche dei libri importanti, ci sono stati giornalisti, associazioni (come ad esempio “daSud”) e perfino trasmissioni di larga diffusione come Report (guarda qui la puntata “Romanzo Criminale”) che in passato hanno denunciato l’esistenza di una cupola criminale nel cuore della Capitale. Ecco perché sono irritanti questo stupore e questa finta ingenuità.
Il nome di Carminati, ad esempio, personaggio chiave nelle azioni terroristiche dei Nar (Nuclei armati rivoluzionari) negli anni ‘70-‘80, l’uomo che Giusva Fioravanti definiva “senza limiti” nella sua spericolatezza e pronto a “sequestrare, uccidere, rapinare”, era facilmente individuabile scandagliando i nomi, le vite e i legami di tutti quei personaggi a cui Gianni Alemanno ha dato incarichi prestigiosi in Campidoglio e negli enti ad esso collegati. Prendiamo il caso di uno degli arrestati, Riccardo Mancini, il quale diventa amministratore delegato di Eur Spa proprio durante il periodo di Alemanno sindaco. Mancini, oltre ad essere sostenitore e finanziatore dell’ex sindaco, è stato membro di Avanguardia rivoluzionaria, l’organizzazione terroristica di Stefano Delle Chiaie, processato per le stragi di Bologna e di piazza Fontana, due delle più atroci stragi dell’eversione neofascista sulle quali ancora oggi non si è fatta pienamente luce.
In Avanguardia nazionale c’era anche Carminati, poi passato ai Nar e indicato già allora come il punto di contatto tra l’organizzazione eversiva e la banda della Magliana. I due diventano amici e nell’operazione appena conclusa a Roma li ritroviamo arrestati come protagonisti dell’organizzazione criminale gravitante attorno ad Alemanno e al Comune di Roma. Di ex sovversivi di destra, picchiatori, ultras se ne sono visti molti dentro gli uffici romani, tutti nominati dall’ex sindaco, genero di quel Pino Rauti che appare, come imputato, nelle inchieste dei principali attentati neofascisti in Italia, da piazza Fontana a piazza della Loggia, dalle quali esce indenne, come avvenuto con quasi tutti i protagonisti dei fatti eversivi di quegli anni.
Ma nel gruppo di potere attorno all’ex sindaco, che si è sempre dichiarato fiero di portare ancora al collo la croce celtica in ricordo dei “camerata” caduti negli anni degli scontri ideologici, sono finiti anche uomini dell’opposizione, esponenti di spicco del Pd, a dimostrazione della trasversalità del “mondo di mezzo” romano. Una cloaca, una fogna il cui coperchio è stato scoperchiato a metà. Un pantano che è necessario bonificare e che è all’origine del decadimento del tessuto urbano e civile della città della Lupa. Una mafia tutta “romana e originale”, come l’ha definita il procuratore Pignatone, in una città che deve fare i conti anche con la radicata presenza delle altre mafie e con un’escalation di omicidi che, ormai da qualche anno, insanguinano le sue strade e che sono la testimonianza di una frenetica attività criminale dentro il territorio provinciale.
La certezza è che questa inchiesta, che certifica giudiziariamente quanto scoperchiato in passato da giornalisti e attivisti, può rappresentare soltanto un inizio, dal momento che l’estensione del malaffare romano è sicuramente ben più ampia. Per tale ragione, la politica e i cittadini non possono continuare a minimizzare o addirittura a negare il capillare radicamento della mafia e l’esistenza di un apparato corruttivo fortissimo. Quello che serve ora e subito, come afferma l’associazione “daSud” in una nota, non è l’antimafia di facciata, ma “un impegno trasversale che non deleghi l’antimafia solo ai magistrati”. Coscienza civile, moralità politica. Verità. Se Roma vuole liberarsi, deve aprire gli occhi. Collettivamente. L’ingenuità e il finto stupore fanno il gioco di chi, in queste ore, sta già lavorando per rifarsi in fretta una verginità e rimanere a galla, per continuare a operare, una volta passata la bufera, come ha sempre fatto, con gli stessi meccanismi e le stesse logiche.
Massimiliano Perna –ilmegafono.org
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