Il titolo dell’articolo di Repubblica è evocativo: “Erri De Luca confessa: ho partecipato ai sabotaggi No Tav”. I sabotaggi in questione sono “blocchi dell’autostrada insieme a maestri elementari, vigili urbani, madri di famiglia” nei pressi dei cantieri della Tav in Val di Susa. Nell’intervista a Repubblica, De Luca spiega che l’intellettuale non può disinteressarsi delle conseguenze delle parole che pronuncia, soprattutto se è uno scrittore. Affermazioni che coniugano al presente idee e concetti, come credere in quel che si dice, che pensavamo di esserci lasciati alle spalle.

A farlo è uno dei più seguiti (e mediaticamente braccati) autori contemporanei. Uno scrittore molto in voga che solletica gli intelletti, compresi quelli dei benpensanti, con poesie e libri profondi. Eppure, diversamente dallo stereotipo che si impone in certi ambienti, De Luca ha il dono della coerenza. Quando parla del suo passato in Lotta Continua non ritratta, usa parole forti come “rivoluzione” che, se ascoltate, risvegliano le coscienze, nel bene o nel male.

Il problema è che forse non vengono ascoltate o bollate nel subconscio come vaneggiamenti di un tipo strano. Perché De Luca è strano, strano nel senso che sfugge alla tipizzazione. Studioso di Bibbia ma agnostico, intellettuale oggi operaio ieri, scrittore di successo e rivoluzionario, questo per citare alcuni di quelli che a molti paiono ossimori. Non poteva che nascere da lui una polemica, prontamente rintanata nei salotti borghesi, sulla sua “confessione”. De Luca non smentisce nulla, come di consueto, ma precisa con un tweet che “un balordo titolo di Repubblica continua ad attribuirmi una confessione, sacramento al quale non ho accesso”.

Sia chiaro, è partita la denuncia da parte di Ltf, la società che prepara il passaggio dei treni ad alta velocità. Certo, c’è chi pronuncia discorsi e proclami contro lo stato di diritto a reti unificate, ma proviamo ad ignorare questo dettaglio. Pochi di coloro che, purtroppo, siamo costretti a raccontare e non a intervistare dal vivo in questa sezione, sarebbero d’accordo con lui. Essi avevano installato un senso della legalità che travalicava gli ideali e quasi sempre la stessa paura di morire. Ma forse tutti si sono posti il problema del limite della legalità. Il confine, cioè, oltre il quale essa può essere messa da parte in difesa di un qualche ideale.

De Luca non va osannato o peggio ancora processato, ma deve essere, criticamente, ascoltato e letto. Nel mondo delle ritirate e delle parole vomitate in fretta e subito rimangiate, l’economia dei discorsi farebbe comodo. Essa può tradursi in poche parole spese con coerenza e convinzione. Giusto o sbagliato che sia per la coscienza o per l’ordinamento giuridico, il tema non è secondario e ci invita, una volta di più, a gettare lo sguardo sulle nostrane rivoluzioni quotidiane, messe in risalto all’uopo per esigenza di sensazionalismo, obliate per pigrizia intellettuale, e a chiederci una volta di più fin dove possiamo o dobbiamo spingerci come cittadini.

Non si tratta di onanismo intellettuale, ma di esercizio di coscienza civica che è, non va dimenticato, un nostro dovere.

Penna Bianca  -ilmegafono.org