L’ennesimo mistero avvolge di buio e interrogativi uno degli omicidi eccellenti della storia italiana. Questa volta si tratta dell’omicidio, avvenuto nel settembre del 1982, del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto di Palermo ucciso dalla mafia insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente di scorta Domenico Russo. A distanza di trent’anni, alcuni elementi del delitto Dalla Chiesa potrebbero non essere del tutto svelati, dal momento che, di recente, la procura di Palermo ha riaperto le indagini su una valigetta di pelle del generale scomparsa il giorno dell’agguato.
A tal proposito, la stessa procura palermitana ha confermato di aver ricevuto, nel mese di settembre, una lettera anonima nella quale vengono spiegati elementi davvero interessanti fino ad allora rimasti ignorati o semplicemente dimenticati, tra cui la scomparsa della stessa valigetta, ma anche di alcuni fogli dalla cassaforte del generale (su questo indagarono subito dopo l’agguato Falcone e Borsellino) e di altri messaggi e documenti trafugati dalla cassaforte di Totò Riina nel momento dell’arresto nel 1993 da parte dei Ros e mai consegnati alle autorità competenti.
E non solo: chi scrive la lettera conosce molto bene gli ambienti della procura e anche gli spostamenti che il generale effettuava, poiché nella missiva afferma di conoscere la collocazione di un ufficio riservato a Dalla Chiesa e cosa vi fosse all’interno (parla di messaggi e faldoni probabilmente raccolti dopo il ritorno in Sicilia del prefetto). Il figlio del generale, Nando dalla Chiesa, ha reagito così alla notizia data dal quotidiano Repubblica: “Mio padre la portava sempre con sé, era una borsa senza manico, con la cerniera. Dopo l’omicidio c’eravamo chiesti che fine avesse fatto. In tutti questi anni abbiamo pensato che fosse andata persa, nel trambusto di quei giorni. Evidentemente, non era così”.
Ma ecco cosa recita la lettera ricevuta dalla procura di Palermo: “Un ufficiale dei carabinieri in servizio a Palermo si preoccupa di trafugare la valigetta di pelle marrone che conteneva documenti scottanti, soprattutto nomi scottanti riguardanti indagini che Dalla Chiesa sta cercando di svolgere da solo ”. A tal proposito, il pool di magistrati composto da Vittorio Teresi, Nino Di Matteo, Lia Sava, Francesco del Bene e Roberto Tartaglia sta indagando sull’identità dell’anonimo, anche se negli ambienti della procura si pensa sia opera di un carabiniere molto informato. Ovviamente non si tratta di un lavoro semplice e i magistrati sperano che la persona su cui si indaga si faccia avanti spontaneamente.
Nonostante tutto, bisogna ammettere che casi del genere non possono che far riflettere. Da tanto tempo si sta cercando di far luce sulla trattativa (ma probabilmente ce ne sono state diverse) Stato-mafia che non ha solo insanguinato vie e strade d’Italia, ma ha anche ferito la cultura e la dignità degli italiani veri e onesti. Per di più, si scopre che un carabiniere avrebbe occultato una verità fondamentale, rimasta così nascosta a tutti, persino alla magistratura e ai mezzi di comunicazione. A quale scopo?
La realtà, probabilmente, è che viviamo in un Paese in cui la corruzione è ormai a livelli altissimi e in cui dignità, etica e morale hanno perso qualsiasi valore. Il fardello del nostro Paese, infatti, non è soltanto quel boss di turno che impone il pizzo al commerciante di un paesino o il clan ben infiltrato all’interno di un comune. No, non è solo la mafia. Il problema vero, quello che fa male, è che c’è gente, tra le istituzioni, che vuol impedire (per proteggere chi?) l’emersione della verità, nascondendo fatti che sarebbero di importanza vitale per poter donare nuovamente valore e serietà ad un’Italia che non riesce a far vera luce sul suo passato tragico.
Giovambattista Dato –ilmegafono.org
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