Le cosiddette primavere arabe che hanno portato alla caduta delle dittature, prima in Tunisia, poi in Egitto, infine in Libia ed ora in Siria, sono cominciate nel 2009 in Iran. È stato lì, infatti, che per la prima volta giovani, studenti, intellettuali e donne, sono scesi in piazza per protestare contro un regime totalitario, integralista e che aveva vinto le elezioni truccandole. Quelle proteste, però, non hanno portato a nessun cambiamento, se non in peggio, della situazione politica e sociale. Essenzialmente perché l’Iran – come la Libia – è un paese ricco di materie prime, petrolio in primis. Le enormi risorse in mano alla classe dirigente permettono, quindi, di foraggiare una parte consistente della popolazione (che ne diventa dipendente), le istituzioni religiose e specialmente eserciti o polizie private. In Libia c’è voluta una guerra civile e l’intervento occidentale per cacciare una dittatura in grado di “acquistare” mercenari e armi infinitamente.
In Iran, i pasdaran, e altri corpi di polizia, ben pagati e ben riforniti di armi e strumenti di oppressione, hanno schiacciato quelle proteste pacifiche nel sangue e nel terrore. Molti dei giovani, degli studenti e degli intellettuali in prima linea nelle manifestazioni sono stati poi condannati a morte. E impiccati spesso pubblicamente. Da quel momento c’è stato un notevole incremento delle esecuzioni, come strumento di repressione ma anche di intimidazione e di terrore nei confronti del dissenso. In Iran, oltre che per omicidio, si può venir impiccati per spaccio di droga, rapina, stupro e poi, con la condanna di “Moharebeh” (fare guerra a dio), per qualsiasi cosa al giudice o al potere faccia comodo: dal dissenso politico (l’Iran è una teocrazia, il potere è dato da dio), al sesso prematrimoniale, ai rapporti omosessuali, anche quando non vengono fatti passare per stupro.
Anche i due ventenni impiccati pubblicamente a Theheran lunedì scorso, sono stati messi a morte con quell’accusa, perché altrimenti il codice penale iraniano non la contempla per la rapina (i due hanno strappato i soldi a un uomo al bancomat minacciandolo con un coltello, c’è il video su youtube). Ma con la stessa accusa sono stati impiccati i dissidenti politici, i ribelli kurdi e gli appartenenti alle minoranze etniche in genere (anche gli arabi) o religiose. Un deciso incremento delle esecuzioni capitali l’ha portato anche una recente legge che le prevede nel caso di traffico di stupefacenti, soprattutto dall’Afghanistan, e che è stata duramente criticata dalla comunità giuridica internazionale.
Naturalmente senza un contesto culturale e religioso come quello iraniano – un islam sciita, integralista e che si regge soprattutto sull’ignoranza e l’arretratezza delle campagne e delle classi più povere – non si spiegherebbe comunque il consenso che generalmente ha la pena capitale tra la popolazione iraniana, anche per rassegnazione. O il paradosso, per noi occidentali almeno, che un omicida può anche cavarsela, pagandosi il perdono dei familiari della vittima (più facilmente ottenibile se appartenente a classi meno abbienti), mentre un condannato per “Moharebeh” non ne ha la possibilità (la vita umana vale meno dei principi religiosi, fondamento di ogni integralismo).
In Iran si tengono più di 500 esecuzioni all’anno. Mentre scriviamo questo articolo siamo costretti ad aggiornare di continuo il dato, con ben cinque esecuzioni in 24 ore. Un dato incredibile, che di solito si riscontra nel mese successivo al Ramadan, quando si “recupera” dalla sosta obbligata (durante il Ramadan le esecuzioni sono proibite). Di molti degli impiccati non si conoscono né il nome né l’età. Solo a gennaio di quest’anno (ma non è ancora finito) sono passati dal boia ventidue giovani tra i 18 e i 27 anni (ben diciassette in soli otto giorni!). Cinque per omicidio, nove per traffico di stupefacenti, quattro per stupro (o presunto tale), i due ragazzi impiccati per rapina, e due fratelli ventenni accusati di aver violentato un diciassettenne, ma non si sa se si sia trattato davvero di stupro, perché è facile che in Iran le relazioni omosessuali vengano fatte passare per stupro.
Uno dei condannati per omicidio aveva 18 anni e sedici giorni all’epoca del reato, ed era quindi maggiorenne, ma se fosse stato più giovane non si sarebbe salvato lo stesso, perché in Iran vengono condannati e portati al patibolo anche i minorenni (ben tre lo scorso anno). Inoltre, sono state confermate sentenze di morte di due dissidenti kurdi e di cinque dissidenti di etnia araba, ma non si hanno conferme che siano poi state eseguite: le esecuzioni scomode sono espletate in segreto.
Quasi tutte le impiccagioni sono avvenute in pubblico, in centro città o addirittura in uno stadio, e hanno avuto ampia pubblicità. Il motivo è semplicissimo: nel 2013 si terranno nuove elezioni e il regime vuole ricordare ai giovani cosa li aspetta se rinnoveranno le proteste per i risultati truccati o l’esclusione dalla competizione delle opposizioni vere. La pena di morte è una barbarie, infatti, non solo per chi vi si oppone ma anche per chi la usa, e proprio per quello, come strumento di terrore.
Alessandro Golinelli –ilmegafono.org
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