Aveva iniziato con riservata pacatezza e con maniere piuttosto misurate, adatte al clima di austerità e alla gravità della situazione. Qualcuno ci era pure cascato, altri (il governo precedente e buona parte dell’opposizione parlamentare) avevano tirato un sospiro di sollievo per esser riusciti a scaricare il barile nelle mani di un “tecnico” nominato dal Capo dello Stato, allo scopo di condurre l’Italia fuori dal pantano in cui è stata trascinata dalla crisi e da almeno 18 anni di cattiva politica. Mario Monti si è presentato come l’uomo in grado di restituire un po’ di autorevolezza e credibilità alle istituzioni repubblicane macchiate dall’inchiostro (poco) simpatico di un clown diabolico e perverso e del suo circo di scagnozzi, compagni di merende, mangiafuoco, acrobati e trapezisti delle regole e della democrazia, puttanieri, escort e ballerine.
Il confronto con il suo predecessore ha favorito Monti nell’essere accettato da un popolo che non lo aveva scelto, votato, eletto. Personalmente non mi sono mai fidato e, su queste pagine, abbiamo sempre sollevato dubbi sulla vocazione e sulle concezioni economiche del neopremier, riconoscendone sì l’assoluta diversità comportamentale e di stile rispetto a Berlusconi (ci vuole davvero poco), ma senza mai assegnargli il ruolo di “uomo giusto” o “uomo della Provvidenza”. Non l’ho pensato di lui e della sua squadra di governo, a partire dai ministri Fornero, Clini, Passera e Profumo. Ci è bastato poco per capire di aver avuto ragione, di non essere folli a pensare che la soluzione migliore per il Paese sarebbe stata quella di un governo provvisorio che cambiasse la legge elettorale e stabilisse nuove elezioni tre mesi dopo.
Soluzione scartata dalla maggior parte delle forze in campo, probabilmente perché nessuno aveva voglia di prendere in mano una nazione in carenza di ossigeno, dove si sarebbero dovute fare delle scelte dure e impopolari. E allora ci siamo ritrovati una costola della Bocconi, un nucleo di ferro del mondo bancario/finanziario, pienamente liberista, che ha provato a convincere gli italiani che il sacrificio avrebbero dovuto affrontarlo tutti, perché c’era da salvare il salvabile, evitare il crac e il disastro sociale che ne sarebbe derivato. Lo ha fatto con i modi sobri e l’anima fredda, con le lacrime finte e la mano pesante. Con l’appoggio trasversale dei partiti, pronti ad allinearsi in nome di un senso di responsabilità che non hanno mai preso in considerazione quando hanno governato.
Così la ricetta di Monti l’abbiamo dovuta assaggiare tutti, volenti o nolenti, buongustai o meno. Una ricetta priva di aggiunte e piena di tagli. Il sapore è amaro, urticante, brucia di una rabbia che decreta il fallimento di un sistema, politico ed economico. Il peso sullo stomaco lo prova solo quella fascia di persone che già da anni sostiene il Paese con sacrifici immensi, con la stanchezza di chi sopravvive senza vedere spiragli, tra la precarietà, il tenore di vita sempre più basso, la disperazione e i suicidi. L’illuminata soluzione del governo “tecnico” è tipicamente liberista, applica fredde misure da manuale di economia senza tener conto delle condizioni sociali di una nazione in sofferenza.
La cesoia ha colpito le pensioni (con la vergognosa vicenda degli esodati), il lavoro (con una restrizione pericolosa e violenta dei diritti), l’istruzione pubblica e la ricerca (devastate dalle scelte fatte in Finanziaria), la sanità (che subisce annualmente, già dai tempi del governo Berlusconi, tagli sostanziali), la giustizia e la sicurezza (con tagli in settori nevralgici ed importanti). Colpi di cesoia che hanno ferito un popolo già provato dal contemporaneo ed eccessivo aumento della pressione fiscale. Il sacrificio chiesto agli italiani è stato notevole. Peccato che ci sono soggetti a cui non è stato chiesto nulla, nonostante siano tra i principali responsabili della crisi.
Il trattamento riservato alle banche, ad esempio, è stato differente: nessuna misura a vantaggio dei risparmiatori o dei cittadini, nessuna a vantaggio di chi ha un mutuo e non può permettersi più di pagarlo, nessuna diminuzione dei costi bancari. Niente. Le banche, il governo dei “tecnici” (e degli azionisti…) non le tocca. Vanno sostenute, sono fondamentali per la tenuta del Paese.
A non esserlo sono, invece, il Sistema Sanitario Nazionale, che, nonostante le smentite, rischia di essere gradualmente declassato a vantaggio dei privati, così come non lo sono i lavoratori, che affogano nel precariato e nella privazione di diritti fondamentali (con un ritorno indietro a logiche pre-industriali); non lo è la squadra Catturandi Palermo, oggetto di un deciso e vergognoso ridimensionamento; non lo è l’ambiente, sacrificato, come nel caso dell’Ilva e dell’assurdo decreto che stabilisce la riapertura degli impianti, in barba a quanto disposto dalla magistratura; non lo sono l’istruzione e la ricerca; non lo è la cultura.
Non lo sono, secondo questo governo “tecnico”, tutti quegli ambiti della società italiana che vivono tra i terrestri, tra le difficoltà quotidiane, le rinunce, i problemi, l’indifferenza, l’angoscia per un domani che sembra impossibile anche solo immaginare e finisce per lubrificare i cappi o le pistole che marchiano una resa triste e misera di chi è stanco di andare avanti o di ricominciare. In tale scenario di dolore, si amplifica ancora di più il vuoto politico che ha investito l’Italia, consegnandola ad un nugolo di ragionieri funesti e grigi e lasciando terreno aperto a chi, sfruttando questo vuoto, si propone come alternativa (legittima) e “fuori sistema”, pur non avendo contenuti, programmi e obiettivi di reale cambiamento.
In tutto questo caos pieno di “uomini nuovi”, rottamatori, strateghi, nostalgici e schegge impazzite, si scorge la fisionomia di quel che manca davvero, si avverte l’assenza più pesante: qualcuno che vada oltre le schermaglie di schieramento o le visioni nazionaliste, qualcuno che metta in discussione il modello di mondo, il sistema economico ormai in agonia, le regole del gioco, gli attori e gli equilibri. Qualcuno, insomma, che non si imiti a dire che il meglio deve ancora venire, ma che sia capace di mostrarcene almeno un’anteprima.
Massimiliano Perna –ilmegafono.org
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