La presidente del Messico, Claudia Sheinbaum, ha appena inviato al Parlamento federale una proposta di modifica della Costituzione per introdurre il divieto di coltivare mais transgenico. Lo slogan della sua campagna contro gli OGM è “senza mais non c’è Paese” (“Sin maíz no hay País”). Il Messico è uno dei più grandi consumatori pro capite di mais al mondo – cereale che, tra l’altro, è diventato commestibile grazie al lavoro di selezione dei popoli nativi di questo Paese – e attualmente produce soltanto il 50% di quanto consuma. Si tratta, più precisamente, della metà dedicata al consumo umano, mentre il restante 50%, destinato all’alimentazione animale, viene importato dagli Stati Uniti ed è totalmente transgenico. La proposta di Sheinbaum, in sostanza, va a cozzare contro le regole del mercato globale, che in materia di cereali fa un larghissimo uso delle sementi geneticamente modificate.
In tempi recenti, il Messico ha già provato a vietare l’import di mais OGM, ma il tribunale arbitrale previsto dall’accordo di libero scambio tra Stati Uniti e Messico ha respinto il ricorso, motivando la sentenza con la mancanza di prove sulla dannosità del consumo di OGM per la salute umana o animale. E questo è vero: il problema degli OGM non è, infatti, la loro nocività, finora mai dimostrata, bensì il modello agricolo sul quale si reggono queste coltivazioni. Pochi proprietari, quasi nessuna necessità di manodopera, enormi distese di terra, erosione dei suoli, eliminazione della biodiversità.
Eppure, attualmente questo è il modello vincente: nel mondo, sono coltivati a OGM circa 200 milioni di ettari di terre agricole, di cui due terzi negli USA e nei quattro Paesi del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay). Il foraggio per il bestiame utilizzato dal Messico all’Italia, dal Canada alla Francia è al 100% transgenico, soprattutto la soia. Ma non lo è solo il foraggio: sono largamente coltivati anche grano, patate, pomodori, girasoli, cotone geneticamente modificati. Pian piano, l’intera agricoltura mondiale sta adottando questa tecnologia, con l’eccezione dell’Unione Europea, dove vige il divieto degli OGM per uso umano (ovviamente, non per quello animale).
Su scala mondiale, la geografia del cibo è stata fortemente toccata dall’introduzione dei prodotti geneticamente modificati, che però, va registrato, consentono di produrre più cibo a minor costo rispetto alle altre varietà conosciute. Gli impatti negativi sono quelli ormai conosciuti e documentati: sui suoli, sulle persone esposte al glifosato e sulla biodiversità. Ma è quello che il mercato oggi offre, ed essendo così pochi i Paesi che riforniscono il mondo di cereali – Stati Uniti e Canada, Brasile e Argentina, Ucraina, Russia e Australia – non vi sono spazi per altri produttori che non siano di nicchia e lavorino solo per il consumo locale. Se la proposta della presidente del Messico andrà in porto, i maggiori danni economici sarebbero per gli agricoltori messicani, obbligati a coltivare il più costoso mais non transgenico che diventerebbe poco concorrenziale con quello OGM importato dagli USA (contro il quale il Messico non potrebbe far nulla).
L’iniziativa messicana ha insomma un forte valore simbolico, soprattutto perché vorrebbe tutelare le 59 varietà di mais oggi disponibili in Messico, ma l’equilibrio tra la tutela della diversità e il mercato globale è sempre più complesso, e rischia di lasciare sul lastrico coloro che vorrebbe difendere. Si potrebbe concludere che ormai non vi sono alternative alla graduale omologazione dell’agricoltura mondiale alle monovarietà transgeniche… Ma non è esattamente così, perché due miliardi di contadini coltivano ancora con le loro sementi e soprattutto perché l’eliminazione della biodiversità alimentare, alla lunga, potrebbe mettere a rischio la sicurezza alimentare mondiale nel caso della comparsa di parassiti, patologie o altre piaghe oggi non conosciute. Ci vorrebbe una sintesi che garantisca da un lato la produzione di cibo per un’umanità ancora destinata a crescere e, dall’altro, la tutela ambientale e della biodiversità. Al momento, siamo però molto lontani dall’avere trovato una soluzione.
Alfredo Luis Somoza -ilmegafono.org
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