Lo scorso 7 dicembre, ad Aosta, Nicola Gratteri, procuratore capo di Napoli, insieme ad Antonio Nicaso, esperto di mafie e di criminalità organizzata, hanno presentato il loro nuovo libro, intitolato “Una cosa sola – come le mafie si sono integrate al potere”. Il tema in questione, ovvero quello che vede le mafie sempre più presenti nel tessuto sociale ed economico in cui viviamo, è stato ampiamente dibattuto davanti a una platea composta da esponenti e figure della Pubblica Amministrazione e da cittadini comuni. Quei cittadini che, secondo lo stesso procuratore Gratteri, hanno il diritto di sapere quel che accade nei territori in cui vivono, ma che purtroppo, a causa di una politica miope e di mezzi di comunicazione poco trasparenti, rischiano di essere disinformati o di non sapere nulla. Nel corso della presentazione, Gratteri ha ribadito come le recenti riforme della Giustizia (Cartabia prima e Nordio poi) vadano in una direzione pericolosissima, quella, cioè, di rendere sempre più difficile il lavoro del giornalista di cronaca e, quindi, di impedire che si parli di criminalità organizzata e di ciò che vi gira intorno.
Argomento di cui abbiamo parlato anche su queste pagine, a inizio anno, e che pensiamo sia bene riprendere per ribadire quel che sta accadendo: la riforma Cartabia (che, va detto, rispondeva a una richiesta dell’Unione Europea che includeva “il rafforzamento della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali”) prevedeva che fossero i capi delle Procure a decidere quali notizie potessero essere rese note alla stampa e quali no e, soprattutto, in che forma. Ciò dava ovviamente spazio a una discrezionalità paurosa che metteva in pericolo il diritto di informazione. È vero, nel corso degli anni ci sono stati casi di commistioni pericolose tra magistrati o capi di procure e giornalisti: da un lato, infatti, i primi tendevano a fornire quante più informazioni possibili (spesso coperte persino dal segreto d’indagine) al solo scopo di ottenere più fama e visibilità; dall’altro, i secondi potevano così arrivare prima di tutti alle notizie e ottenere maggiore attenzione dai lettori e quindi più vendite.
La riforma Cartabia, però, non solo non impedisce che questo genere di “connivenze” smetta di esistere, ma sembra a tutti gli effetti voler intaccare la libertà di stampa con limitazioni inutili e dannose. D’altro canto, la riforma Nordio, invece, prevede una “stretta alle intercettazioni” (come fa puntualmente ogni governo di destra) poiché sono ritenute “troppe” e “troppo costose”. Anche qui ci troviamo di fronte a un tentativo neanche troppo velato di rallentare le indagini e, quindi, di impedire il corretto svolgimento delle stesse, dimenticandone l’importanza e il valore.
Fa sorridere, infatti, come lo stesso governo Meloni non abbia perso l’occasione di fregiarsi per l’arresto di Matteo Messina Denaro e, contemporaneamente, reputi le intercettazioni addirittura un “peso”. Quanta incoerenza… La denuncia di Gratteri, comunque, non è rivolta esclusivamente alla politica, ma anche ai giornalisti e a chi fa informazione. “Io sono stato il primo a urlare, quando c’è stata la riforma Cartabia”, ha tenuto a precisare. “Purtroppo – ha continuato – il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti e il sindacato non li ho visti molto arrabbiati e non li ho visti protestare”. “Addirittura non sono andati in Commissione giustizia” e questo “mi preoccupa e mi dispiace”. In un momento in cui fare il giornalista è, come abbiamo visto, sempre più difficile, Gratteri osserva “poca passione nell’editoria”, e, oseremmo aggiungere, nell’informazione pura e trasparente.
C’è poi un altro tema che non va assolutamente dimenticato: la presenza delle mafie al Nord. Sebbene non sia una novità, è bene ricordare quel che accade nei meandri delle comunità settentrionali, persino in Valle d’Aosta. “Dove ci sono tossicodipendenti ci sono venditori di cocaina – ha ricordato Gratteri – , la droga la vende la ‘ndrangheta che con quei soldi cerca di comprare tutto quello che può, anche in Valle d’Aosta e quindi ristoranti, pizzerie, alberghi”. “Questa è la base del riciclaggio”, ha aggiunto Gratteri, un riciclaggio che le mafie d’oggi sono in grado di fare in modo sofisticato grazie all’uso delle criptovalute e del dark web. “Non sono esperto di Valle d’Aosta – ha voluto precisare il magistrato -, ma posso dire, per quella che è la mia esperienza, che le mafie sono laddove possono gestire denaro e potere”, inclusa la Valle d’Aosta che è una zona ricca, “una zona dove ci si può muovere e lavorare dal punto di vista criminale”. Sia chiaro: la colpa non è dei meridionali che si sono spostati al Nord.
Se la mafia esiste anche in territori un tempo “puri” e liberi dal male mafioso, è perché ha trovato un territorio fertile, fatto di miopia politica, connivenza della pubblica amministrazione e silenzio pericolosissimo da parte degli organi d’informazione. “Quando penso alla Valle d’Aosta penso a una terra meravigliosa, dove hanno trovato spazio anche tanti meridionali onesti, perché questo va messo in chiaro – ha aggiunto a sua volta Nicaso -. però va anche detto che, ancora prima delle stragi di Palermo, qui ci fu una bomba che per poco non uccise un magistrato coraggioso (il pretore Selis, ndr) che aveva messo il naso negli affari del Casinò, dove confluivano i soldi dei sequestri di persona”. E tutto ciò avveniva già negli anni Ottanta. Vent’anni prima, addirittura, il problema legato alle infiltrazioni mafiose “era emerso nel dibattito dell’Assemblea regionale, ma alcune forze politiche fecero di tutto per nasconderlo, per sottovalutarlo” come se il loro compito fosse di preservare l’immagine della regione agli occhi dei turisti e degli investitori, soprattutto in un periodo florido come quello del boom economico.
La realtà, insomma, è sotto gli occhi di tutti e chi non la vede appartiene a una delle due categorie: da un lato ci sono quelli che non “vogliono sapere”, che nascondono la realtà e si crogiolano nell’indifferenza; dall’altro c’è invece chi la vive e ci convive, così tanto a stretto contatto da farvi affari e guadagni illeciti a discapito della comunità. Ciò accade da Nord a Sud, in Sicilia così come in Valle d’Aosta. Prima lo accetteremo, prima saremo in grado di combattere le mafie in maniera organica e complessiva e di liberarcene.
Giovanni Dato -ilmegafono.org
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