A Gjader, in Albania, il governo di Giorgia Meloni crea il suo CPR fuori dai sacri confini italiani: un centro per oltre 800 persone che, circondate da una recinzione alta 5 metri e sorvegliate da agenti italiani, dovranno attendere che la loro richiesta d’asilo venga esaminata a distanza dalla Commissione di Roma per il riconoscimento della protezione internazionale. Le udienze e i rapporti con gli avvocati, inoltre, potranno essere solo online. La settimana scorsa, però, dopo oltre 500 miglia marine e due giorni di navigazione, la nave Libra della Marina militare italiana ha compiuto il suo primo viaggio per deportare sedici esseri umani, intercettati in mare, da Lampedusa a Gjader. Una volta arrivati nel porto di Shengjin si scopre però che due di loro sono minorenni e altri due sono soggetti fragili e quindi dovranno ritornare in Italia.

Il 18 ottobre, inoltre, il Tribunale di Roma non convalida il trattenimento nel CPR per “l’impossibilità di riconoscere come ‘paesi sicuri’ gli Stati di provenienza delle persone trattenute, con la conseguenza dell’inapplicabilità della procedura di frontiera e, come previsto dal Protocollo, del trasferimento al di fuori del territorio albanese delle persone migranti, che hanno quindi diritto ad essere condotte in Italia”. I Paesi di provenienza dei 16 richiedenti asilo sono l’Egitto e il Bangladesh. La nave della Marina Militare deve tornare indietro e riportare in Italia i migranti. La decisone del Tribunale scatena la reazione, violenta e intimidatoria, del governo e di tutte le forze di destra di questo Paese, con il sostegno dalla stampa amica: Giorgia Meloni accusa la magistratura italiana di essere contro le istituzioni e di ostacolare l’operato del governo.

Il ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, minaccia il ricorso alla Cassazione e il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, parla di una “sentenza abnorme”, aggiungendo che “se la magistratura esonda dai propri poteri attribuendosi delle prerogative che non può avere, come quella di definire uno Stato sicuro, deve intervenire la politica che esprime la volontà popolare”. Il ministro delle Infrastrutture. Matteo Salvini parla di “magistratura politicizzata”. Affermazioni più che discutibili che impongono una riflessione sull’obiettivo finale di questo governo. Esiste una profonda differenza fra governare un Paese e comandarlo. Per poterlo comandare serve quel “potere assoluto” che la Costituzione antifascista non consente: l’indipendenza e l’autonomia dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario sono l’essenza di una democrazia, e fra i compiti dei giudici non rientra certo quello di assecondare e condividere l’azione del governo.

Giorgia Meloni e i suoi ministri lo sanno bene. Lo sanno anche il ministro Nordio, ex magistrato, e il ministro Matteo Piantedosi, una laurea in Giurisprudenza e un passato di Prefetto alle spalle. Anche Ignazio La Russa conosce questo “cavillo”, anche lui ha una laurea in Giurisprudenza nel cassetto. La Russa non fa parte del governo ma, nonostante la sua storia e la sua fede fascista mai nascosta, è parlamentare dal 1992 e oggi è la seconda carica dello Stato. Da quel 1992 ha sempre ricoperto ruoli di primo piano: Ministro della Difesa nel governo Berlusconi, vicepresidente della Camera dal 25 maggio 1994 al 9 maggio 1996, vicepresidente del Senato dal 28 marzo 2018 al 12 ottobre 2022 e ora presidente del Senato. Tutti questi signori conoscono la Costituzione sulla quale hanno giurato, per questo oggi vanno al suo assalto.

Al potere assoluto ci si può arrivare seguendo due strade: o con un colpo di Stato oppure scardinando per gradi i tasselli che costituiscono una democrazia parlamentare. Non è più il tempo dei colpi di Stato così come li abbiamo conosciuti nel Novecento, in Europa e in America Latina, quindi si battono altre strade e c’è un modello che affascina la squadra di Giorgia Meloni: la “democrazia illiberale” di Viktor Mihály Orbán, quell’Ungheria dove il potere assoluto si è fatto strada senza carri armati nelle piazze. L’attacco del governo alla magistratura non nasce però il 18 ottobre. L’Albania e il suo CPR costato centinaia di milioni è solo l’ultimo capitolo, il più recente. Impossibile credere che i signori del governo non sapessero che stavano commettendo un illecito che non poteva passare: prima dell’intervento del tribunale di Roma c’era già stata la bocciatura della Corte di Giustizia europea, che il 4 ottobre aveva chiaramente indicato l’elenco dei Paesi di provenienza dei profughi ritenuti non sicuri per il rimpatrio. È sulla base di quella sentenza che il Tribunale di Roma ha preso la sua decisione.

Eppure Giorgia Meloni e i suoi ministri sono andati avanti comunque, perché serviva arrivare a quello scontro con la magistratura che era già cominciato con il “Decreto Cutro”, quando i giudici della sezione immigrazione del tribunale di Palermo non convalidarono i fermi, disposti dal questore di Agrigento, nei confronti di 4 migranti tunisini sbarcati a Lampedusa. Lo scontro, con i giudici di Palermo ma non solo, si intensifica poi con il processo Open Arms che investe il ministro Matteo Salvini. I giudici di questo processo ora sono sotto scorta. Giorgia Meloni e il suo governo sanno che devono lavorare anche sulla pancia dei cittadini per vincere la loro guerra per il potere. E lo fanno con una forza e una ferocia che supera ogni limite. Per rendersene conto bastano le ultime parole di Matteo Salvini, che invita i militanti della Lega alla mobilitazione contro le “toghe politicizzate” e, in un’intervista al TG1, lancia il suo anatema: “Se qualcuno di questi dodici domani commettesse un reato, rapinasse, stuprasse, uccidesse qualcuno, chi ne paga le conseguenze? Il magistrato che li ha riportati in Italia?”.

Lo stesso Salvini il giorno dopo ribadisce che “i confini sono sacri, non si capisce perché, secondo qualche giudice, possono arrivare in Italia cani e porci”. Si semina odio, e perché la semina possa dare il raccolto desiderato deve partire dai banchi del governo e arrivare alla pancia degli italiani. Di fronte a tutto questo cosa dice l’Europa? I governi di destra apprezzano il protocollo Italia –Albania. In particolare va ricordato che i governi di Austria, Ungheria, Slovenia, Svezia e Danimarca hanno già usato i migranti come strumento per ripristinare i controlli alle loro frontiere e cancellare Schengen. Lo stesso ha fatto anche la Germania. L’esternalizzazione dell’affidamento dei migranti è vista con favore da molti governi europei. La Gran Bretagna del ex-premier Rishi Sunak aveva già aperto questa strada quando, nell’aprile 2024, il Parlamento aveva approvato la legge che autorizzava la deportazione dei migranti illegali in Ruanda.

Il governo italiano apre un’ulteriore frontiera mentre sull’Europa soffia un vento che ricorda il peggio del primo Novecento. Ad alimentarlo è la stessa Ursula von der Leyen, che non nasconde il suo appoggio e, alla vigilia del vertice europeo dove si parlerà della questione migrazione, dichiara testualmente che “con l’inizio delle operazioni del protocollo tra Italia e Albania, potremo trarre lezioni da questa esperienza nella pratica”. L’Europa, dunque, va a destra, ma le cose vanno chiamate con il nome giusto, senza sminuire il vero significato delle parole: quello in atto è un processo di fascistizzazione e l’Italia è in prima fila in questa restaurazione. Si torna a parlare di razza, di patria e di supremazia, di difesa dei confini e dei valori cristiani dell’Europa, dimenticando secoli di storia e di colonialismo. Non c’è nulla di casuale nei decreti e nelle leggi che questo Paese ha deciso e appoggiato in questi anni. Tutto è stato finalizzato a creare un nemico: il migrante. Ma un nemico solo non basta, e allora nel mirino entrano le ONG, la stampa libera, gli studenti e i centri sociali, i lavoratori, le donne e il loro diritto all’autodeterminazione, le piazze che solidarizzano con la Palestina e contro il suo genocidio. Ora è il turno dei magistrati, o almeno di quella parte della magistratura che, semplicemente, guarda alla legge e al diritto.

La reazione arrogante e autoritaria del governo non è casuale. Serve per arrivare a “comandare il Paese”, antico sogno di ogni fascismo dove non c’è posto per alcuna forma di dissenso e opposizione. Per riuscirci il primo passo è cancellare la Costituzione nata dalla lotta antifascista. Lo ricorda, a chiare lettere, il presidente del Senato, Ignazio La Russa, nel corso di un’intervista rilasciata a ‘la Repubblica’: “I magistrati devono rispettare la destra che ha vinto le elezioni, è necessario riscrivere nella Costituzione i confini tra i poteri dello Stato, in particolare per quanto riguarda i magistrati”. Parole eloquenti, al punto da rendere superfluo qualsiasi commento. 

Maurizio Anelli -ilmegafono.org