Nell’era dell’odio e della rabbia, del razzismo e della crudeltà al potere, accade che un gesto d’umanità e d’amore verso il prossimo, faccia notizia. E non per l’etichetta di eroismo dalla quale sembriamo ossessionati per trasformare in eccezionale ciò che dovrebbe essere normale, ma per il valore elevatissimo dell’esempio e per la sua portata educativa. Un gesto che, già nella sua immediatezza, nel suo svolgersi, ha messo a nudo l’indifferenza di chi, al contrario, non si muove, di chi si chiude dentro il proprio steccato, incapace di un atto di altruismo. Per Angela Isaac, 28 anni, nigeriana di origine, madre di un bimbo di due anni, lavoratrice di un bar del centro di Catania, città in cui vive da 6 anni, quell’altruismo, invece, è del tutto normale. Non ci ha nemmeno pensato, ha visto un anziano in difficoltà, trascinato dalla forte piena di acqua e detriti che, a seguito della copiosa pioggia caduta su Catania, ha invaso via Etnea, ed è intervenuta.
La storia è ormai nota, grazie a un video girato da chi ha pensato fosse più utile immortalare il momento, mentre la ragazza entrava nella piena, la attraversava, portando via a fatica l’anziano e mettendolo al riparo sull’uscio di un negozio. Angela Isaac non ha pensato a chi fosse quell’uomo e al perché si trovasse lì per terra, sospinto violentemente dall’acqua. Non si è chiesto che colore della pelle avesse, se fosse un pregiudicato, se fosse razzista, se fosse uno di quelli che parlano male dei migranti in Italia. Ha pensato giustamente che quello era innanzitutto un essere umano e che una vita merita di essere salvata. Sempre. Nelle interviste successive, la donna ha detto una frase che può sembrare semplice, quasi banale, ma che è invece significativa, specialmente in un’epoca individualista e incattivita come la nostra: “Bisogna aiutare tutti, indipendentemente dal colore della pelle, essere sempre buoni e simpatici. È solo aiutando che, insieme, possiamo guardare avanti”. Un pensiero che nell’Italia e nell’Europa dei respingimenti, della guerra a chi soccorre in mare, dell’esternalizzazione delle frontiere, degli accordi criminali con Paesi che violano sistematicamente i diritti umani, ha una portata rivoluzionaria.
Non cambierà il mondo Angela, magari riceverà degli encomi per poi tornare ad essere la ragazza di sempre, che lavora e che costruisce il suo futuro, ma lei ha salvato una vita e, con il suo gesto, ha smascherato la pochezza della società in cui viviamo. La stessa società che restava chiusa nei negozi o che filmava, lasciando che un essere umano in difficoltà passasse, inerme, come fosse un oggetto, come il motorino che lo precedeva. Quella stessa società che non si è lasciata incoraggiare nemmeno dalla corsa in mezzo all’acqua di Angela, né dalla sua difficoltà nel trascinare di peso un uomo fuori dalla corrente. L’amore di questa ragazza verso il prossimo, verso la vita altrui, è un pugno in faccia anche a chi ora, probabilmente perché straniera, minimizza o si stupisce della sua visibilità e dell’attenzione mediatica a lei dedicata. Come se questa storia non dovesse essere raccontata, forse perché sbaraglia uno schema di pensiero radicato, ma fragile e mendace, secondo il quale lo straniero non può essere protagonista positivo di un fatto di cronaca.
E ciò nonostante di atti coraggiosi ed “eroici” compiuti da cittadini di origine straniera ce ne siano stati tanti, come quello del senegalese Cheikh Samba Beye a Ventimiglia o quello tragico del marocchino Rahhal Amarri (che ha sacrificato la propria vita) a Castel Volturno, solo per citarne due. Storie di donne e uomini che, malgrado questo Paese sia ostile con chi ha origini straniere, non hanno esitato a mettere in gioco la propria vita per salvare quella degli altri. Tutto questo ha tante forme, ma due parole riassumono ogni cosa: amore e umanità. Due concetti desueti in un mondo fatto di odio, nel quale tutto viene semplificato e polarizzato. Un mondo nel quale gli odiatori seriali hanno occupato la politica a ogni livello. Ci sono forze politiche in Italia, in Europa e nel mondo che vomitano odio quotidianamente e il loro bersaglio, scientifico e strategico, sono i migranti, soprattutto quelli che hanno un particolare status: poveri e possibilmente neri. Sulla loro pelle si scarica qualsiasi forma di violenza verbale e fisica, lo straniero è condannato a una vita di dolori, attese infinite, ingiustizie e umiliazioni.
Chi ce la fa, chi resiste, spesso si ritrova comunque destinato a vivere più in basso, tra pregiudizi, menzogne, stereotipi e generalizzazioni. Se sbaglia, invece, subisce più degli autoctoni. È il caso di Moussa Diarra, 26 anni, originario del Mali, in Italia da otto anni. Ucciso dalla Polfer alla stazione di Verona, dopo che sarebbe andato in escandescenza e avrebbe aggredito con un coltello i poliziotti. Un caso di cronaca, con un poliziotto indagato per eccesso colposo di legittima difesa. Dunque, una vicenda ancora da accertare, da verificare per capire cosa sia successo esattamente. Di Moussa si sa solo che, dopo aver ottenuto lo status di rifugiato, non è mai riuscito a mutarlo in permesso di soggiorno. La solita trafila burocratica estenuante e iniqua, qualche piccolo precedente per droga, il lavoro durissimo nei campi e una probabile depressione legata alla sua situazione burocratica che non dava alcuna certezza per il futuro. Alla fine è arrivata la morte, sulla quale le indagini faranno chiarezza. Ma se sei straniero, questo non basta. Non in questo Paese, non con questo governo orrido, che gioca con la vita dei migranti e calpesta costantemente il buon senso di chi dovrebbe mantenere un profilo istituzionale.
Mentre, infatti, Meloni, Nordio, Piantedosi e il presidente non super partes del Senato, La Russa, attaccano la magistratura che ha stoppato la farsa Albania e minacciano di forzare la Costituzione, in un rigurgito di passioni eversive, l’incontinente ministro Matteo Salvini si congratula per l’assassinio di un uomo, con una frase volgare e disumana: “Con tutto il rispetto, non ci mancherà! Grazie ai poliziotti per aver fatto il loro dovere”. Già la premessa, contenuta nella frase “con tutto il rispetto”, annuncia esattamente il contrario di ciò che viene pronunciato, ossia una dichiarazione orripilante, priva di qualsiasi rispetto umano. Un ingresso a gamba tesa, peraltro, su una vicenda ancora oggetto di indagine e di accertamento della verità, che suggerirebbe, in ogni caso, di non esprimere gratitudine né di definire “proprio dovere” un’azione che, comunque, si conclude con la morte di un uomo. E invece…ancora una volta arriva l’odio, profuso da uno dei suoi rappresentanti più famigerati, colui che per anni si è servito di un sistema collaudato e diabolico (“La bestia”) costruito per veicolare menzogne razziste sui migranti e spingere la popolazione, sempre più egoista e superficiale, a chiudersi e a odiare chiunque fosse diverso per etnia, colore della pelle, credo religioso.
L’esatto contrario di quel principio meraviglioso fissato nell’articolo 3 della Costituzione italiana. L’esatto contrario di quel principio di rispetto e solidarietà che dovrebbe animare i cittadini, per evitare di trasformare la quotidianità in una guerra continua o in un tetro palcoscenico di indifferenza. E di razzismo, quello stesso razzismo di cui l’Italia è stata giustamente accusata dalla Commissione Europea contro il razzismo e l’intolleranza (Ecri) del Consiglio d’Europa, che ha valutato i fatti e soprattutto il linguaggio politico e i comportamenti della politica italiana (e in piccola parte anche di alcuni componenti dei corpi di polizia). Ecco allora che il gesto di Angela Isaac ritorna, con la sua umanità, e annienta, annichilisce e al contempo evidenzia la pochezza di chi vive di odio e usa i migranti come trofei o come corpi da lasciar scorrere nel fango di una propaganda becera e strumentale alla quale questo Paese, purtroppo, continua miseramente a credere.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
Bel pezzo, ce n’era bisogno.