In questa epoca di oscuri ritorni indietro, dominata da forze caratterizzate da uno spirito tragicamente conservatore, il ruolo della donna viene messo nuovamente in discussione. Le conquiste giuridiche, le libertà e i diritti acquisiti con la lotta e con il sacrificio di molte sono sottoposti a un continuo assalto da parte di governi reazionari che hanno preso il potere o che aspirano a farlo all’interno di diverse e importanti democrazie moderne. In Italia, ad esempio, le destre e le forze di ispirazione cattolica, spalleggiate dalla furiosa posizione espressa anche recentemente dal Vaticano, si sono lanciate all’assalto del diritto all’aborto e, al contempo, hanno prodotto misure economiche e sociali che di fatto escludono le donne, ancor più quelle che non vivono una condizione di maternità. Insomma, per la destra del nostro Paese e per le altre forze conservatrici che agiscono sulla società italiana, il ruolo della donna può coincidere solo con quello di madre e preferibilmente cristiana.

La retorica sull’aborto, che fa il paio con quella sulla famiglia, nella quale per la donna deve valere solo il ruolo ben definito di madre, è ormai diventata quotidiana e si fa forza di tutta una rete di complicità, a partire da quella di alcuni media per arrivare alla drammatica proliferazione di obiettori di coscienza. Una situazione che, come conseguenza, produce innumerevoli ostacoli che rendono impervia e complicatissima l’attuazione del diritto all’aborto. In un contesto simile, sempre più bigotto e più lontano da quello splendido fervore culturale che, poco dopo la metà del secolo scorso, aveva pervaso i giovani e rinnovato il Paese, naturalmente, la violenza di genere è sempre più diffusa. La violenza fisica e psicologica sulle donne è una costante, un fenomeno radicato che riempie di orrore le pagine di cronaca e condanna alla sofferenza la vita di migliaia di persone. Un fenomeno sociale e culturale che, però, per il governo e per i cattolici italiani non è una priorità, anzi.

Le cifre sono sempre più spaventose, come i dettagli delle vicende che emergono quando ormai è troppo tardi, quando la sofferenza e la violenza sono diventate morte. In Italia, quest’anno (dato aggiornato al 9 ottobre), sono 69 le donne vittime dei cosiddetti femminicidi, ossia uccise per questioni legate alla violenza di genere. Atti culminanti di un percorso fatto di sopraffazioni, soprusi, umiliazioni, aggressioni fisiche, minacce e pressioni psicologiche, stalking. Tutte vicende che, a dispetto delle leggi e delle misure di prevenzione e dissuasione, si ripetono con dinamiche pressoché identiche. Dinamiche che si nutrono dell’incapacità dello Stato di tutelare le donne che sono incastrate dentro una gabbia di violenza, che sia essa domestica e attuale o che sia legata a rapporti conclusi o anche lontani nel tempo.

Volgendo lo sguardo a livello globale e leggendo l’ultimo dossier di Terres Des Hommes sulla condizione delle donne nel mondo, saltano agli occhi le ultime stime elaborate dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità (Oms), secondo cui il 31% delle ragazze e delle donne di età compresa tra i 15 e i 49 anni ha subito almeno una volta nella vita violenza fisica o sessuale. In termini assoluti si tratta di circa 736 milioni di donne e ragazze. Nella maggior parte dei casi, evidenzia l’Oms, la violenza viene commessa da mariti, compagni, partner, fidanzati o ex.

Cifre che fanno pensare e alle quali anche l’Italia, purtroppo, contribuisce. D’altra parte, è difficile attendersi un cambiamento o una forma di tutela da chi, ogni giorno, rende prioritario attaccare i diritti delle donne e la loro libertà di scelta e difendere, ideologicamente e a prescindere, l’idea di famiglia, la sua integrità formale, anche quando questa, nella sua realtà è solo un inferno, una prigione, un lento cammino verso la morte. Facile capire che le cose non cambieranno a breve. Basta porsi alcune domande, che non riceveranno alcuna risposta da chi potrebbe agire e non lo fa. Dove sono finite, ad esempio, le attività di prevenzione? Dove sono gli investimenti per finanziare la creazione di luoghi di accoglienza nei quali chi subisce violenza possa trovare, anche provvisoriamente, un programma di protezione? Dove sono le misure atte a finanziare programmi di educazione al linguaggio, culturale ed emotiva, da destinare ai maschietti che crescono con le mentalità becere ereditate dai loro padri? Dov’è la sicurezza tanto sbandierata e ossessivamente scaricata sulla pelle di migranti ed emarginati e mai messa in campo contro gli uomini violenti?

Non c’è niente, non c’era prima, ma non c’è soprattutto adesso che il Paese è guidato da un governo nel quale siedono personaggi che in alcune occasioni (come quelle che coinvolgevano i loro pargoli maschi) hanno minimizzato la violenza e veicolato la logica della colpevolezza della donna rispetto a ciò che subisce e denuncia. Il tema della sicurezza, poi, è un’altra bugia, un’altra mossa propagandistica per drogare un popolo sempre più obnubilato e sempre più focalizzato su questioni e paure artificiali, mentre nel cuore della loro quotidianità avvengono crimini reali per i quali non esiste una concreta azione di prevenzione.

Pertanto, stupisce poco se non ci sono leggi nuove, se nemmeno si commentano più le cifre. Il caso di Gravina di Puglia, con l’omicidio efferato di Maria Arcangela Turturo, bruciata viva e pestata a morte, è emblematico. Di questo caso, sappiamo qualcosa di più solo perché ci sono testimoni e perché la donna non è morta sul colpo ma in ospedale riuscendo a raccontare alla figlia e alla polizia, prima di spirare, quello che il marito le aveva fatto. Davanti a questo orrore, il Paese non si è scomposto, non ne è nato alcun dibattito. Probabilmente si è assuefatto o forse ormai il tema non interessa più, è finito dentro il calderone sporco dell’indifferenza. D’altra parte, questo non è un caso limite, ma la “normalità”. Un’altra morte annunciata, l’ennesima, per mano di un uomo che già era stato arrestato 15 anni fa per aver tentato di uccidere il figlio, intervenuto per salvare la madre dalla violenta aggressione del padre. E più volte, Maria Arcangela Turturo era finita in ospedale, per via delle botte prese.

In che modo uno Stato può consentire che un uomo simile possa restare a vivere accanto alla sua vittima? Le misure di dissuasione, come l’ammonimento o il divieto di avvicinamento, servono a poco, per non dire a nulla. Perché di fatto non tutelano la donna che denuncia. La verità è che, in Italia, nessun legislatore ha mai avuto davvero il coraggio di punire il carnefice. Già il fatto che debba essere la donna a necessitare di un luogo in cui proteggersi se non vuole restare nella sua dimora, è aberrante. Perché, ad esempio, non pensare che, una volta dimostrata l’efferata e violenta condotta di un partner, di un ex partner o di un persecutore qualsiasi, sia il maschio, per legge, a doversene andare, ad essere obbligato a lasciare la provincia di residenza o, in casi ancora più gravi, la regione? E magari con obbligo di firma in questura quattro volte al giorno, in modo da impedirgli eventualmente di tornare di nascosto a finire il lavoro.

Perché, è così difficile pensare di cacciare via il maschio? È forse un tabù spingere i maschi a capire che con la violenza si rischia di perdere il lavoro, gli amici, il luogo di residenza, la casa, e che ciò avviene solo per colpa propria? Perché mai, in Italia, al cittadino maschio vengono riconosciute tutte le garanzie del caso e, al massimo, nei suoi confronti vengono applicate solo misure irrisorie, mentre la donna, anche quando subisce violenza, deve comunque essere svantaggiata, vivere nella paura, lasciare magari la propria città e rinunciare alla propria vita quotidiana?

Il punto è che anche questo, alla fine, è un fatto culturale, che c’entra poco con il diritto, ma che piuttosto è coerente con il ragionamento idiota e bacchettone di chi accusa la donna di aver sempre in qualche modo “provocato” la rabbia del suo persecutore. Perché ha scelto di lasciarlo, perché ne ha denunciato la violenza, perché ha deciso di non rispondere alle sue avance o perché si è semplicemente innamorata di un altro o per mille altri motivi (che non giustificano in alcun caso il ricorso alla violenza). La verità è che il modo in cui un Paese pensa si riflette anche nel modo in cui un Paese agisce. E l’Italia, questa Italia, ad ogni livello, disprezza, odia e combatte la libertà delle donne e il loro diritto di scelta. Qualsiasi sia la scelta.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org