Quelle che dovevano essere garanzie per i consumatori sono diventate, per molti aspetti, realtà opinabili. Stiamo parlando delle certificazioni: quelle dei prodotti alimentari come quelle delle materie prime per la costruzione, dei prodotti delle estrazioni minerarie e dei contratti di lavoro. Tutte, ormai da tempo, prestano il fianco alle critiche e spesso hanno perso ogni credibilità. I motivi sono numerosi. Anzitutto il costo delle certificazioni stesse, che risulta alto per i piccoli produttori ma basso per le grandi multinazionali, che per giunta possono facilmente aggirare i parametri stabiliti dai certificatori e i relativi controlli. Nel settore dell’industria, ad esempio, l’aggiramento avviene grazie alla rete di subforniture, caso che si verifica tipicamente in Cina. Diverse lavorazioni vengono affidate a piccoli imprenditori che non rispettano i parametri ambientali o l’età minima dei lavoratori impegnati: queste realtà conferiscono poi i prodotti ad aziende più grandi e certificate che “dimenticano” la provenienza di alcune parti della filiera di lavorazione.
Nel settore agricolo il tema si fa ancora più complesso. Il recente Regolamento europeo 2023/1115 contro la deforestazione, che entrerà in vigore a dicembre del 2024, prevede ad esempio che le importazioni nell’Unione europea di materie prime o semilavorati extra UE non siano frutto di deforestazioni avvenute dal 2020 in poi. In questo modo si attua una sanatoria per tutti gli scempi ambientali commessi prima di tale data, ossia i primi 30 anni di globalizzazione, e si rilascia una patente di sostenibilità a imprese che senza dubbio hanno deforestato negli anni precedenti, vuoi per creare piantagioni di olio di palma, pascolo per bovini o coltivazioni di soia, vuoi per lo sfruttamento diretto del legname. Va aggiunto che è oggettivamente difficile certificare che non ci siano state distruzioni di foresta negli ultimi quattro anni e dunque questa pregiudiziale, almeno in teoria, si può prestare a un uso strumentale, diventando un’arma di ritorsione contro l’export di alcuni Paesi.
Intanto, il Regolamento europeo sta già creando tensioni internazionali. Spicca il caso del Brasile, che vorrebbe proteggere la propria industria dell’auto elettrica dalla concorrenza europea e che minaccia di non certificare la propria produzione agroindustriale se non si raggiungerà un accordo anche sul versante dell’industria automobilistica: auto versus cibo, insomma, a dimostrazione che ciascuno utilizza le armi a disposizione per non perdere il proprio ruolo nella globalizzazione. A pagare, alla fine, sono sempre l’ambiente e le persone che vivono nelle aree interessate dalla deforestazione. Ma che cosa si produce maggiormente nelle zone considerate critiche, dall’Amazzonia brasiliana fino alle foreste indonesiane? Cibo e minerali indispensabili per alimentare il grande mercato globale, e soprattutto la tavola e l’industria dei Paesi più ricchi, affamati di carne e foraggio per il bestiame, ma anche terre rare, legname, litio e rame. Non bisogna poi dimenticare il ruolo della Cina, grande acquirente di queste stesse commodities, che di certo non si fa problemi di natura etica o ambientale.
La certificazione richiesta dall’Europa, a questo punto, diventa un’arma spuntata. Riassumendo, da un lato il nuovo regolamento cancella anni di distruzione ambientale, dall’altro lo si può aggirare facilmente e, al limite, chi deforesta si potrà rivolgere ad altri acquirenti; infine, diventa moneta di scambio nelle piccole e grandi guerre commerciali che imperversano nel mondo. L’ambiente, e le persone che vivono nelle foreste e di agricoltura, come sempre possono aspettare. Si gira all’infinito attorno al vero punto nodale che non solo non viene affrontato ma non può nemmeno essere nominato, ed è il nostro modello di consumo.
Finché continueremo a divorare foreste per produrre sempre più cibo, spesso destinato agli animali da allevamento, biocombustibili e olio di palma per le creme spalmabili, e ad estrarre metalli per una transizione energetica che non fa realmente i conti con la Terra, non ci sarà certificazione che tenga. Continueremo come ora, con una minoranza di consumatori che si sente tutelata dal marchio di garanzia e una maggioranza che ritiene, a torto o a ragione, che lo sviluppo economico è un diritto, costi quel che costi.
Alfredo Luis Somoza -ilmegafono.org
Commenti recenti