Dal primo giorno della sua riapertura, quasi quattro anni fa, il CPR di via Corelli a Milano è il simbolo della costante violazione dei diritti umani e civili. L’assoluta mancanza di trasparenza sulla gestione privata del centro, il silenzio. o meglio l’omertà delle istituzioni sulle condizioni di vita all’interno di quelle mura fanno del CPR un corpo impermeabile alla società civile e alla città. Eppure, nel corso degli anni, le denunce e le dettagliate documentazioni delle associazioni hanno descritto ampiamente la realtà di quello che a tutti gli effetti si può definire come un lager di Stato. La Procura di Milano ha chiuso la sua inchiesta sul centro con il sequestro del ramo d’azienda della Martinina srl, la società con sede a Salerno che gestiva il CPR. Quell’inchiesta, coordinata dai pm Paolo Storari e Giovanna Cavalleri, ha non solo confermato le drammatiche e inumane condizioni di vita all’interno del centro, ma ha messo nero su bianco anche i reati di frode in pubbliche forniture, turbativa d’asta, presentazione di “documentazione contraffatta” e partecipazione ad altre “gare d’appalto”, sulla gestione dei CPR di Milano, Salerno, Brindisi e Taranto.

Dal dicembre 2023, il centro è commissariato, con la gestione affidata ad un amministratore giudiziario, il commercialista Giovanni Falconieri. È di pochi giorni fa la notizia che il gip di Milano, Luigi Iannelli, ha prorogato il commissariamento fino a settembre. Cosa è cambiato nel frattempo? La risposta è facile, non è cambiato nulla.

I CPR, e non solo quello di Milano, continuano ad essere l’inferno di sempre per chi ne varca il cancello d’ingresso: non-luoghi, dove la violenza psico-fisica è una costante istituzionale e dove le possibilità di denuncia sono praticamente impossibili e/o affidate alla possibilità – come nel caso del CPR di via Corelli – che una sentenza del tribunale consenta ai detenuti di tenere un telefono cellulare. Quel cellulare diventa allora la prima, o la sola, opportunità di comunicare con il mondo esterno, l’unico strumento cui affidare un filmato o una fotografia che diventano una testimonianza. Raccogliere e diffondere quella testimonianza, garantendo l’anonimato del detenuto, è l’unico modo concreto di far conoscere quello che accade. Accedere ai CPR è difficile, quasi un’ipotesi: richiede lunghi tempi di attesa, permessi che, quand’anche vengono accordati, sono un labirinto di restrizioni e obblighi.

L’accesso è disciplinato da norme rigide, in contrasto stridente con il concetto di “democrazia”, e viene ostacolato in ogni modo. Quando concesso, alla presenza di parlamentari o di esponenti delle istituzioni, è comunque limitato alle aree comuni, e il colloquio con i detenuti non è consentito. Le cronache quotidiane ci raccontano di condizioni di vita inumane, di rivolte, di tentativi di suicidio e atti di autolesionismo che, troppo spesso, sono l’unica strada per richiamare attenzione. Tutto questo, oltre alle denunce delle associazioni e alle inchieste giudiziarie, non modifica le intenzioni del governo che, nel caso specifico della città di Milano, lascia intendere che l’idea di aprire un secondo CPR è molto di più di un’ipotesi.

Il ruolo dell’informazione è un altro punto importante. Troppi silenzi nel corso degli anni, un silenzio generale che contrasta con la visibilità riservata invece a chi diffonde teorie sul “pericolo dell’invasione” e la paura nei confronti dei migranti. Nessun rilievo sulla stampa “mainstream” circa il “malaffare” che si nasconde dietro le gare d’appalto per l’assegnazione ai privati della gestione dei CPR, sulle carte false presentate e sul monitoraggio inesistente delle prefetture, da Nord a Sud. Troppi silenzi sui dati reali, mentre intanto il governo lavora per esportare il suo modello in Albania. Troppo silenzio anche sulle prefetture e sulle amministrazioni locali che coprono e minimizzano le disumane condizioni di vita dei richiedenti asilo rinchiusi nei CPR. Pochi hanno voluto e saputo raccontare l’inferno e, fra questi pochi, Altreconomia merita sicuramente una menzione particolare. Ma Altreconomia è parte di quell’informazione indipendente, libera, fuori dai circoli viziosi dei finanziamenti pubblici. Le sue inchieste, i suoi approfondimenti hanno contribuito a squarciare il velo del silenzio sui CPR, come ha fatto l’inchiesta sull’abuso quotidiano di psicofarmaci nei Cpr italiani, dell’aprile 2023.

A parte poche eccezioni, il peso di denunciare e portare alla luce la realtà dei lager di Stato, è quindi interamente sulle spalle delle associazioni. La Rete Mai più Lager – No ai CPR e l’Associazione Naga sono state la vera e principale spina nel fianco di chi per anni ha gestito a proprio piacimento il CPR di via Corelli a Milano, ma nelle istituzioni hanno sempre trovato il classico “muro di gomma”. Eppure, lo Statuto del Comune di Milano prevede, nella Parte I – La comunità locale all’Art.5 (Libertà e diritti), una dichiarazione che stride con quanto succede fra le mura di via Corelli:

1. Il Comune riconosce e concorre a garantire le libertà e i diritti costituzionali delle persone e delle formazioni sociali, informa la sua azione all’esigenza di rendere effettivamente possibile a tutti l’esercizio dei loro diritti, chiede l’adempimento dei doveri di solidarietà al fine di assicurare la civile convivenza e lo sviluppo autonomo della comunità, opera per responsabilizzare tutti i soggetti al rispetto delle leggi.

2. Il Comune garantisce uguaglianza di trattamento alle persone e alle formazioni sociali nell’esercizio delle libertà e dei diritti, senza distinzione di età, sesso, razza, lingua, religione, opinione e condizione personale o sociale.

Dichiarazioni disattese, perché sul CPR di Milano chi rappresenta la Città a Palazzo Marino ha sempre dichiarato la propria impotenza nel contrastare decisioni prese dal ministero degli Interni. Nessun gesto, nessun atto di contrarietà e di ribellione, solo indifferenza e un silenzio imbarazzante.

Ecco allora che, nei confronti della detenzione amministrativa e delle condizioni di vita nei CPR, e nell’assoluta mancanza di rispetto dei diritti umani, il ruolo che l’informazione ricopre è fondamentale, e forse qualcosa si muove in questo senso: nelle scorse settimane l’agenzia ANSA ha ottenuto dalla prefettura di Roma il permesso di entrare nel CPR di Ponte Galeria, nella Capitale, con le proprie telecamere. Il dossier che ne è scaturito è drammatico ed è diventato un esposto alla Procura. Il dossier ha un titolo che, nella sua sintesi, spiega già tutto: “Il Manicomio dei Migranti – ‘Se non sei pazzo, qui lo diventi’ – Viaggio all’interno del Cpr di Ponte Galeria a RomaÈ un dossier che tutti dovremmo conoscere e di fronte al quale lo Stato dovrebbe molte spiegazioni.

“Finalmente il tema CPR sta arrivando alla ribalta della cronaca al di là di singoli episodi tragici. Finalmente non siamo più i soli a parlare di disagio mentale e della reale funzione di questi centri, veri e propri manicomi per migranti, tra gente che già entra con disagio mentale e gente che restandoci rinchiusa vi ci scivola lentamente e sempre più giù, nell’abbandono totale…”, è l’amara e giusta considerazione che arriva dalla Rete Mai più Lager – No ai CPR. A questa dichiarazione si aggiunge quella di Riccardo Tromba, presidente del Naga: “Ci sentiamo assolutamente di corroborare il titolo di questa inchiesta prodotta dalla principale agenzia di giornalismo italiana, allargando la definizione a tutti i centri di detenzione amministrativa presenti sul territorio italiano. Purtroppo possiamo confermare con certezza ciò che viene descritto nel reportage. Quando i giornalisti fanno il loro lavoro con cura e passione, i risultati sono davvero preziosi”.

Ecco, il punto è proprio questo: “Quando i giornalisti fanno il loro lavoro con cura e passione…”. Troppe volte non è così. Quella zona grigia in cui molti giornalisti si rifugiano, scegliendo la narrazione che non disturba e dimenticando il valore di un’informazione libera e di denuncia, è ancora troppo estesa. Lasciare tutto il peso della denuncia sulle spalle delle associazioni non è solo ingiusto, è qualcosa di peggio: è un atto di viltà, è la “lectio magistralis” di pilatesca memoria applicata alla stampa e alla dignità della libera informazione.

Maurizio Anelli -ilmegafono.org