La mafia è tornata a concentrare i propri sforzi sul traffico di droga: è questo l’allarme lanciato da Marzia Sabella, procuratrice aggiunta di Palermo e da sempre in prima fila nella lotta a cosa nostra, durante il convegno intitolato “Le rotte e le logiche del traffico internazionale di stupefacenti e le evoluzioni della criminalità organizzata transnazionale”, organizzato dalla Scuola superiore della magistratura proprio nel capoluogo siciliano. Stando a quanto affermato dalla procuratrice aggiunta, cosa nostra, che negli ultimi anni aveva allentato la propria presenza nello smercio della droga, avrebbe ricominciato a porre maggiore attenzione su uno dei business più redditizi per la criminalità organizzata. Racket e appalti non bastano più: i continui attacchi da parte dello Stato, le confische di beni e di conti correnti e, in generale, un’attività di controllo maggiore da parte degli inquirenti, hanno “costretto” i capi di cosa nostra a virare su quello che un tempo era il cuore dell’intera organizzazione. E per far questo hanno dovuto scendere a patti con la ‘ndrangheta, da sempre “regina” del traffico internazionale di sostanze stupefacenti.
Se prima “la mafia andava a elemosinare le partite di stupefacente dalla ndrangheta – ha affermato Sabella – ora è cambiato perché da semplice cliente sta diventando socio di minoranza in alcuni affari”. E avere le due organizzazioni in combutta in un business del genere può rappresentare un problema non di poco conto. Secondo i dati emersi dalle recenti inchieste, dalle 3 tonnellate e mezzo di droga sequestrate nel 2018 si è passati alle oltre 26 nell’ultimo anno. Una crescita esponenziale causata da diversi fattori: da un lato l’aumento inesorabile della domanda (e, di rimando, dell’offerta); dall’altro, come detto, la collaborazione di organizzazioni criminali sempre più forti e coese. Infine, non va dimenticata l’assenza di una collaborazione transnazionale da parte di governi ed enti giudiziari, il che rende difficile tutta una serie di operazioni e processi che potrebbero quantomeno limitare il fenomeno.
La crescita della domanda è sicuramente un fattore sociale da non sottovalutare: il fatto che sempre più persone (giovani, ma non solo) attingano a sostanze stupefacenti è sicuramente un tema preoccupante. Se da un lato le droghe più richieste sono sempre le stesse (hashish, marijuana, eroine e, ovviamente, cocaina), dall’altro emerge con sempre più prepotenza il fentanyl, vera e propria scoperta nel mondo della droga. C’è poi, appunto, un legame sempre più stretto tra mafie e clan storicamente a sé stanti. Se “la Calabria ha storicamente vantato l’egemonia in questo settore”, come ha sottolineato la procuratrice nel corso di una intervista rilasciata al Giornale di Sicilia, “parallelamente cosa nostra è stata costretta a ritornare prepotentemente nel mercato degli stupefacenti, che per alcuni anni aveva tralasciato, in modo da fare fronte alle proprie difficoltà economiche provocate dai colpi ricevuti da parte dello Stato”.
“E così – ha aggiunto – il business della droga, che era stato messo per un certo periodo in secondo piano, è ritornato d’attualità”. “In Sicilia – conclude Sabella – c’era un mercato destrutturato che ora va riorganizzandosi e la mafia controlla le piazze di spaccio ed è tornata a diventare egemone nella distribuzione in Sicilia e nella capacità di raccordarsi con le grande famiglie calabresi”. Un esempio della rinnovata collaborazione tra mafia siciliana e calabrese è uno degli espedienti trovati per trasportare la droga. Questa, infatti, non arriva più (o non più, almeno) per mezzo di corrieri che ingeriscono gli ovuli di droga, bensì via mare. Ciò avviene attraverso le navi cargo che scaricano ingenti quantità di droga imballata con annesso un gps satellitare, il quale permette poi ai pescherecci di recuperare il carico e portarlo sulla terraferma.
Proprio lo scorso luglio, si legge sempre sul Giornale di Sicilia, “la guardia di finanza era riuscita a realizzare uno dei più grandi sequestri di sempre bloccando oltre 5 tonnellate di cocaina che, dopo il trasferimento dalla nave madre, viaggiavano a bordo di un’imbarcazione proveniente dalle coste calabresi”. Un indizio pure fin troppo evidente di una rinata partnership mafiosa. Infine, c’è l’aspetto internazionale o, meglio detto, transnazionale. Ovvero una collaborazione (questa ancora molto arretrata e insufficiente), tra Stati e continenti diversi.
Nel corso di un’intervista rilasciata alla Rai, il professore Vincenzo Musacchio, criminologo, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA), ha affermato che non tutti i Paesi portano “avanti la lotta contro il traffico di droga a livello sovranazionale” in quanto mancano “accordi di collaborazione internazionali”, nonché “una reale partecipazione dei movimenti sociali anti-narcos”. “C’è assoluto bisogno della cooperazione internazionale – ha continuato Musacchio – poiché un singolo Stato non è in grado più di lottare contro simili organizzazioni criminali ormai globalizzate”. Purtroppo, al momento non si vedono “efficaci strategie di lotta né contro l’offerta, né tantomeno verso la domanda”, né si sente “discutere di politiche di liberalizzazione delle droghe leggere”.
La prevenzione per affrontare il consumo e la riabilitazione, secondo Musacchio, sono ancora ferme a oltre vent’anni fa, e per tale ragione istituzioni come Europol e Interpol devono “integrarsi con le forze di polizia dei vari Stati coinvolti nel traffico e nel commercio di sostanze stupefacenti”. Insomma, la via verso una lotta serrata al traffico di droga e, quindi, alla criminalità organizzata è ancora tortuosa e molto impervia. Se c’è una cosa che la criminalità riesce a fare molto meglio e più in fretta dei governi è quella, quando serve, di unirsi, collaborare e allo stesso tempo puntare a obiettivi comuni che ne favoriscano il potere e l’egemonia. Forse è giunto il momento che lo stesso venga fatto anche qui, dall’altra parte della barricata, quella della legalità e della giustizia.
Giovanni Dato -ilmegafono.org
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