In un suo intervento sulla guerra, nel 2002, Gino Strada chiedeva a tutti noi: “In quanti secondi siamo capaci di liquidare decine di morti e centinaia di feriti, e di parlare d’altro?”. Lui la risposta la conosceva già, e forse anche tutti noi la conosciamo: pochissimi secondi, il tempo di cambiare discorso e di trovare subito nuovi interlocutori. Da quella sua domanda sono passati ventidue anni, le guerre continuano, alcune occupano più spazio sui Tg e sulle pagine dei giornali, altre passano quasi sotto silenzio. Le cause, il contesto e le conseguenze, diventano quindi il quadro in cui l’umanità assume un ruolo sempre più marginale ma, al tempo stesso, decisivo. La IV Convenzione di Ginevra, in un freddo e surreale distinguo, divide i conflitti in due filoni: quelli internazionali – cioè quando sono coinvolti eserciti riconosciuti dagli Stati – e quelli non internazionali, o asimmetrici, cioè quando riguardano uno Stato e gruppi armati organizzati, oppure gruppi armati non riconosciuti su entrambi i fronti.
Una distinzione che nulla toglie all’atrocità di qualunque guerra che colpisce soprattutto vittime civili e genera crisi umanitarie che durano nel tempo. Emblematico in questo senso il caso della Siria: la guerra scoppiata nel marzo del 2011 è apparentemente conclusa e, secondo i dati dell’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, è costata la vita a oltre mezzo milione di persone. Ad oggi la situazione umanitaria in Siria è gravissima, milioni di siriani vivono sotto la soglia della povertà e dipendono dagli aiuti umanitari. Secondo i dati del Global Humanitarian Overview, il rapporto annuale pubblicato dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari, nel solo anno in corso sono almeno 300 milioni le persone che hanno un bisogno estremo di aiuti umanitari, ma è una cifra destinata a salire vertiginosamente. La guerra fra Ucraina e Russia e la terrificante situazione di Gaza sono i primi fattori di questo indice del disastro umanitario destinato ad aumentare.
Oggi le attenzioni si concentrano in gran parte sulla guerra fra Ucraina e Russia, ma l’intero Medio Oriente e gran parte del continente africano sono un incendio fuori controllo: la guerra in atto a Gaza è un pozzo senza fondo in cui è impossibile vedere qualcosa di diverso da un genocidio. Non si può dimenticare che il conflitto israelo-palestinese si protrae da decenni e che grandissima parte della popolazione palestinese riceveva assistenza umanitaria già prima del 7 ottobre 2024. Oggi si aggiunge lo scontro fra Israele e Iran, e la costante e progressiva radicalizzazione dei rispettivi governi apre scenari drammatici. In Sudan, invece, la guerra compie un anno, e in questo lasso di tempo sono morte migliaia di persone, mentre gli sfollati sono quasi dieci milioni. I dati dell’ONU confermano che oggi il Sudan è il Paese con il più alto numero di sfollati, in fuga verso Egitto, Etiopia, Eritrea, Libia, Ciad, Repubblica Centrafricana. Dall’aprile 2023 la guerra si è estesa nel Darfur, dove gli scontri hanno assunto una dimensione di autentica pulizia etnica.
Non solo il Sudan, un’altra guerra quasi dimenticata è quella che vive e annienta lo Yemen, che contrappone le forze governative – sostenute da una coalizione internazionale guidata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti – al movimento di Ansar Allah. È una guerra che ha generato una gravissima crisi umanitaria per la popolazione di un Paese in cui per gli operatori umanitari è quasi impossibile entrare. L’attuale attenzione internazionale sullo Yemen è dovuta principalmente agli attacchi degli houti – gruppo armato sciita sostenuto dall’Iran – alle navi commerciali nel Mar Rosso.
Queste sono solo alcune delle guerre in corso nel mondo, l’elenco è in realtà molto più lungo: secondo i dati forniti da Uppsala Data Conflict Program, i conflitti sono attualmente più di 170. L’analisi sui tanti motivi che hanno portato il mondo ad un passo dal punto di rottura è inevitabile sotto il profilo storico, ma richiede quel tempo che, allo stato attuale, l’umanità non ha più a sua disposizione. Decenni di politiche imperialiste ed espansionistiche hanno costruito le condizioni che hanno portato a quello che oggi sembra un punto di non ritorno. Gli Stati, le forze politiche, gli interessi economici e militari: sono tanti gli attori che hanno contribuito e costruito il disastro. Il mondo non ha mai smesso di “giocare” con la guerra: chi guarda al periodo successivo alla fine della Seconda guerra mondiale non può dimenticare i brividi della “guerra fredda”. Siamo sempre stati con un piede sull’abisso. Cos’è allora a fare la differenza con quell’epoca?
Sarebbe facile attribuire tale differenza al cambiamento degli equilibri politici globali, visto che oggi non ci sono più due super potenze ma una moltitudine di potenze. Oppure l’incapacità delle Nazioni Unite di essere quel garante della pace che era la ragione della sua stessa istituzione. Qualcuno parla di uno “scontro di civiltà”, ma l’ipotetico scenario di un conflitto culturale-religioso non può bastare a spiegare lo scempio di umanità che è davanti a noi. Perché, quindi, ogni appello umanitario cade nel silenzio della comunità internazionale? A chi giova alimentare il fuoco delle guerre, a chi conviene? Nessuno dei cosiddetti “grandi leader” mondiali sembra muoversi concretamente verso spiragli di pace, anzi pare che ognuno di loro sia fermo in attesa della mossa altrui. L’Occidente, USA ed Europa, stanno vivendo una loro personale campagna elettorale, nella quale ogni mossa può cambiare il loro destino alla guida dei rispettivi Paesi.
Ognuno sembra una preda nelle mani di lobby più grandi e potenti di loro: dalle grandi aziende – in primo luogo quelle legate alla produzione di armi – ai gruppi politici che li sostengono. Gli USA stanno vivendo la farsa di elezioni presidenziali in cui è difficile capire chi voglia davvero una pace, ma la storia americana è una storia nella quale il ruolo di gendarme del mondo è da sempre presente nel Dna. E l’Europa? La civile Europa, quella sognata da Altiero Spinelli, non esiste. Questa Europa assomiglia piuttosto a quella che, per anni, ha osservato silenziosamente la scalata al potere della Germania nazista e dell’Italia fascista, nella notte del Novecento. Oggi, come ieri, sono poche le voci dei leader europei che parlano di pace e che la cercano: inseguono piuttosto dei compromessi in grado di compiacere i propri elettori. Eppure è proprio dagli USA e dall’Europa che dovrebbe salire la voce più forte verso un cambiamento globale, ma questo non accade, tutto è come congelato in attesa di capire chi sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca e come sarà il nuovo Parlamento Europeo.
Forse qualcuno pensa che la guerra sia un investimento, perché dopo una guerra bisogna ricostruire sulle macerie. E allora l’Ucraina e la Russia possono, o devono, continuare a scannarsi e Gaza può scomparire definitivamente, il Sudan e lo Yemen sono lontani e comunque anche lì ci sarà da ricostruire. E poi la storia ci racconta che l’Europa divenne ricca perché sfruttò l’Africa, lo sanno gli africani e lo sanno gli europei. Ci sono altri attori che osservano e fanno le loro mosse più o meno allo scoperto: ad esempio la Cina che, oltre ad aver preso il posto della vecchia Unione Sovietica nella competizione con gli USA, è ormai da tempo il principale Stato partner commerciale del continente africano e uno dei principali investitori, una Cina ormai quasi padrona di Namibia, Eritrea e Tanzania.
Tutti i governi si dicono concordi nel sostenere che bisogna evitare una “escalation” dei conflitti, ma sono solo parole gettate al vento. In realtà, ognuno di loro teme di perdere una parte del proprio controllo economico e politico a vantaggio di altri. Nell’attesa le bombe continuano a cadere, e nelle guerre volute dai potenti della terra a morire sono le donne, gli uomini e i bambini. “In quanti secondi siamo capaci di liquidare decine di morti e centinaia di feriti, e di parlare d’altro?”. In un mondo umano Gino Strada sarebbe stato un uomo felice, come tanti. In questo mondo, feroce e stupido, Gino Strada è stato invece un gigante, incompreso e troppe volte deriso e inascoltato.
Maurizio Anelli -ilmegafono.org
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