“Divisivo”. È questo l’aggettivo con cui gli studenti del Liceo di Partinico hanno definito la figura di Peppino Impastato. Con questa “qualifica” hanno deciso di non intitolargli la scuola, quello stesso istituto in cui il giornalista e militante di Democrazia Proletaria aveva studiato. Dopo tanti anni, in Sicilia, il cognome Impastato fa ancora discutere. Gli studenti hanno votato a maggioranza contro l’intitolazione dell’istituto all’attivista antimafioso di Cinisi, un comune a pochi chilometri di distanza. Tre studenti su quattro hanno votato contro, argomentando il fatto che Peppino Impastato fosse politicamente schierato. Una decisione che Giovanni, fratello del giornalista ammazzato da cosa nostra, definisce, con un altro aggettivo, “inquietante”. “Questa decisione è inquietante e ridicola”, dice a ilfattoquotidiano.it.
“Altro che divisivo – continua – Peppino è un personaggio amatissimo dai ragazzi perché combatteva battaglie in nome di tutti: il pacifismo, l’ambientalismo, l’antimafia. Su molte cose era in anticipo di 50 anni: forse occorre che i ragazzi del liceo di Partinico tornino a studiare la sua storia”. A leggere tutto l’iter per il cambio del nome alla scuola, attualmente intitolata a Santi Savarino, ex senatore della DC che, durante il fascismo, aveva firmato il manifesto della razza, si capisce che, nella decisione degli studenti, c’è l’influenza della politica locale e regionale. Forza Italia e la DC di Totò Cuffaro hanno combattuto una battaglia contro l’intitolazione del Liceo a Peppino Impastato e indirettamente contro la memoria di un uomo giusto e perbene.
Militante di sinistra, pacifista, tra i primissimi leader delle manifestazioni in difesa dell’ambiente nella Sicilia Occidentale, Peppino Impastato aveva cominciato sin da giovanissimo a contestare lo strapotere mafioso a Cinisi. Mafia che lui stesso conosceva bene e che aveva cominciato a disprezzare e odiare. Fondatore di Radio Aut, una delle prime emittenti radiofoniche antimafia, attaccava duramente Gaetano Badalamenti, boss “importante” all’interno di cosa nostra: lo chiamava Tano Seduto, ne denunciava crimini e speculazioni, violenze e affari. Lo sfidava apertamente, senza paura. Per questo motivo, per seguire da vicino le dinamiche del potere mafioso, aveva deciso di candidarsi alle elezioni comunali con Democrazia Proletaria. Alle elezioni, però, Peppino non sarebbe mai arrivato, poiché fu trovato morto, la mattina del 9 maggio 1978, sui binari della ferrovia. All’inizio si parlò di morte accidentale o perfino di un suo attentato terroristico andato male ma, grazie alle testimonianze e alle ricerche dei compagni e al coraggio di sua madre Felicia, si è arrivati alla verità. Fu ucciso dalla mafia, per ordine di Tano Badalamenti.
Ci si chiede: come può, una figura come quella di Peppino Impastato, ammazzato barbaramente da cosa nostra, essere definita divisiva? Bertrand Russel scriveva: “Non smettete mai di protestare, non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai”.
Cari giovani studenti di Partinico, Peppino Impastato aveva trent’anni quando è stato ammazzato e non aveva mai smesso di protestare, di dissentire, di porsi domande, di mettere in discussione l’autorità (e cosa nostra per molti, in Sicilia, era l’autorità). Peppino Impastato non smise mai di pensare, di essere voce fuori dal coro. Sapete perché? Perché era giovane come voi, ma era anche colto, era buono, era giusto. Divisivo è colui che provoca o alimenta rivalità. Che rivalità può esserci tra la mafia e l’antimafia? Quale scelta, voi giovani liceali, decidete di compiere? Decidete di scegliere chi ha combattuto ed è morto per la libertà della sua terra dal giogo mafioso o chi, in malafede, usa la politica come arma di distrazione di massa, sfruttando il suo potere di persuasione?
Il regista Marco Tullio Giordana, nel 2000, ha portato nelle sale cinematografiche “I cento passi”, il film che racconta la vicenda umana, ideale e professionale di Peppino Impastato. Qualcuno, a Partinico dovrebbe rivedere quel film e leggere almeno una delle poesie che Peppino scrisse; una poesia come questa:
“Appartiene al suo sorriso l’ansia dell’uomo che muore,
al suo sguardo confuso chiede un po’ d’attenzione,
alle sue labbra di rosso corallo un ingenuo abbandono,
vuol sentire sul petto il suo respiro affannoso: è un uomo che muore“.
Si intitola “Appartiene al suo sorriso” ed ha quasi il sapore di un testamento spirituale.
Vincenzo Lalomia -ilmegafono.org
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