Il 5 gennaio 1984, esattamente 40 anni fa, veniva ucciso da cosa nostra il giornalista Pippo Fava. Durante la serata in ricordo della vittima, uno dei relatori, il procuratore aggiunto di Catania, Sebastiano Ardita, ha lanciato un preoccupante allarme. “Da una parte si registra il ritorno in libertà di numerosi boss di cosa nostra, condannati anche per omicidio. Dall’altra c’è un arretramento negli strumenti di contrasto alle associazioni criminali. Un ritorno indietro molto grave e per certi versi inaccettabile”. Il magistrato mette sotto accusa la riforma Cartabia e i tentativi del governo Meloni di mettere il bavaglio ai giornalisti; tentativi che, spesso, hanno il sapore di velate minacce. Dopo aver monopolizzato l’informazione pubblica e, in buona parte, anche quella privata, si cerca di aumentare la stretta nei confronti dell’informazione libera.
Ardita va nello specifico: “La riforma Cartabia fa arretrare in maniera incredibile qualunque modello di efficienza e di contrasto alla criminalità organizzata. Addirittura prevede un meccanismo per velocizzare i processi e li fa decadere se non si concludono in un certo lasso di tempo”. Arretramento che è continuato e continuerà con l’attuale ministro della Giustizia, Nordio, il quale sta cercando di ridurre drasticamente, con la sua “riforma”, la portata del traffico di influenze illecite. A tutto questo si aggiungono la scomparsa dell’abuso d’ufficio (una manna del cielo per mafiosi e politici e imprenditori corrotti), e i divieti per i giornalisti in materia di intercettazioni.
Tornando ad Ardita, il procuratore è stato molto critico anche contro il provvedimento approvato alla Camera dalla maggioranza di governo, da Azione e Italia viva, che vieta la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare : “Siamo nella fase in cui scompaiono le notizie che riguardano i fatti processuali dai giornali”, ha aggiunto Ardita. Scompaiono le notizie e si tenta di mescolare tutto, come denuncia il giornalista Corrado Augias che, dopo una onorata carriera in Rai, si è visto costretto a lasciare la televisione pubblica per approdare a La7. Per Augias, gli obiettivi del governo Meloni sono diventati più numerosi rispetto ai governi precedenti perché “si è aggiunta la voglia di raccontare daccapo la storia”.
E nel raccontare daccapo la storia c’è anche il tentativo di dimenticare, di far finta che le mafie non siano uno dei problemi principali di questo Paese, di imbavagliare e zittire tutti quei giornalisti che non si fermano davanti a nessuno pur di approdare alla verità. Un allarme simile a quello di Sebastiano Ardita arriva anche dal criminologo forense Vincenzo Musacchio che, proprio il 5 gennaio scorso, parlando alla rete svizzera TV Suisse Plus, riferisce che con lo scioglimento del pool antimafia e dopo le stragi in cui hanno perso la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, la lotta alla mafia non ha avuto quello scatto necessario che avrebbe potuto far nascere quel movimento culturale e morale che si auspicava nascesse.
“Le nuove mafie del post Riina si sono perfettamente integrate nel tessuto politico, economico e sociale e da parte delle istituzioni arriva un segnale di immobilismo molto grave e intollerabile. È in corso un attacco occulto alle strategie di lotta contro la mafia volute e create da Giovanni Falcone. C’è un silenzio intorno al tema della criminalità organizzata che fa davvero paura”. Musacchio interviene anche sulla legge bavaglio definendola una “riforma inutile e rischiosa. Stiamo andando verso quel silenzio tanto agognato da tutte le mafie e in ogni epoca storica”.
Sia Musacchio che Ardita sono molto preoccupati di un ritorno al passato, agli anni ’70 o ’80, anni in cui si faceva finta di non vedere, di non sentire, di non prendere posizione, rischiando di trovarci, come afferma il procuratore aggiunto di Catania, “non impreparati ma di più, depotenziati, scomparsi, senza notizie, senza conoscenza dei fatti della criminalità”. Il governo Meloni potrà pure “fabbricare” leggi bavaglio, ma non potrà impedire alle persone oneste di questo Paese, ai giornalisti seri, di denunciare e di cercare il vero e l’autentico, memori dell’insegnamento di Pippo Fava che amava dire: “A che serve essere vivi se non si ha il coraggio di lottare? “.
Vincenzo Lalomia -ilmegafono.org
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