Negli anni ‘70 a Palermo, nel periodo di maggiore coesione tra cosa nostra e imprenditoria, il cardinale Ernesto Ruffini, di fronte alla furia mafiosa che si ripercuoteva quasi giornalmente per le strade siciliane, sosteneva che la mafia fosse, in realtà, una “creazione dei comunisti”, evitando e negando ogni riconoscimento ed individuazione del fenomeno. Per Ruffini la mafia, insomma, non esisteva. Il rapporto tra le mafie e la Chiesa Cattolica, almeno fino agli anni Ottanta del secolo scorso, è stato controverso e ambiguo. A primo impatto sembra illogico, quasi contraddittorio, rapportare una fede fondata sull’amore verso il prossimo a delle organizzazioni sanguinarie, eppure le mafie (tutte) in generale hanno curato e curano ancora con particolare attenzione i simboli e le pratiche della religione cattolica, dal rito del battesimo ai funerali, alle feste patronali.

Cercano di continuo una legittimazione e una appartenenza alla cultura del luogo che deriva, spesso, dalla partecipazione ai riti e alle cerimonie religiose: proprio per questo non si conoscono esempi di mafiosi atei, salvo il caso di Matteo Messina Denaro. Molti mafiosi avevano nel loro parentado fratelli o cugini preti o arcipreti. Mediante l’uso di un linguaggio che evoca l’elemento spirituale, la partecipazione attiva e soprattutto visibile alle feste religiose, l’assunzione di ruoli rilevanti nelle medesime feste, il mafioso legittimava e, in alcuni territori legittima ancora, la propria posizione dominante all’interno della comunità locale, garantendo così quasi una signoria territoriale.

È a partire dagli anni Ottanta che la Chiesa Cattolica comincia a protestare e a rifiutare certe “connivenze” o silenzi. È con il cardinale Pappalardo che comincia il filone di denuncia ferma contro la violenza mafiosa. Il 4 settembre 1982, ai funerali di Carlo Alberto Dalla Chiesa, dinnanzi agli uomini politici presenti pronuncia un famoso discorso passato alla Storia e paragona Palermo a Sagunto espugnata: “Sum Romae consulitur, Saguntum expugnatur; mentre a Roma ci si consulta, Sagunto viene espugnata. Sagunto è Palermo. Povera la nostra Palermo! Come difenderla?”.

A distanza di 41 anni da quel discorso, fa impressione ascoltare e leggere, oggi, le parole del cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, che, a proposito del Santuario della Madonna di Polsi, in Calabria, dice: “Il Santuario è stato profanato nel recente passato. La casa della Madre di Dio, madre di tutti, casa di misericordia, di consolazione, di fraternità, negli ultimi decenni è diventata luogo per interessi privati che dobbiamo chiamare con il loro nome: mafiosi”. Parole inequivocabili quelle del cardinale Zuppi, non casuali, visto che, e non è un segreto per chi vive quel territorio, proprio la festa della Madonna di Polsi è stata, per decenni, occasione di riunioni di affiliati della ‘ndrangheta. Zuppi ha ricordato la visita di Papa Francesco a Cassano dello Ionio nel 2014 e le sue parole di condanna verso le mafie, e ha rammentato a tutti che le mafie hanno “tanta penetrazione al Nord e tante ramificazioni internazionali”.

La Chiesa ha aderito tendenzialmente in ritardo alla battaglia antimafia e il motivo di questo intervento tardivo è da attribuirsi non solo alla sottovalutazione del fenomeno mafioso, ma anche al condizionamento socioculturale di stampo conservatore che ha marchiato (e per certi versi marchia ancora) la vita di alcuni periodi storici del nostro Paese, dove la non reazione era frutto di una opposizione a qualsivoglia cambiamento di potere. Dovranno passare molti anni prima che il cardinale Pappalardo denunci la mafia; prima che un Papa urli ai mafiosi di pentirsi perché un giorno “arriverà il giudizio di Dio!”; prima che sacerdoti come don Pino Puglisi o don Peppino Diana si ribellino e sfidino apertamente ai mafiosi, prima che un magistrato ragazzino, barbaramente assassinato dalla mafia, sia proclamato Beato.

Le parole del cardinale Zuppi sono importanti non solo perché la Chiesa, finalmente, esprime con chiarezza il proprio disgusto verso le mafie e gli uomini di mafia, ma anche perché ci fa comprendere che, nonostante questa presa di posizione, ancora ci sono luoghi e territori dove l’utilizzo dei riti religiosi e dei simboli del cattolicesimo danno legittimazione all’esercizio di un potere criminale che strangola la cultura e lo sviluppo economico e sociale di diverse regioni. Ci fa un esempio di quello che accade in alcuni luoghi, la cantautrice Carmen Consoli, quando in una canzone in lingua siciliana, di cui riportiamo la traduzione italiana, scrive: “La domenica mattina, dagli altoparlanti della chiesa la voce di padre Coppola ci introna le case ed entra dentro le ossa. Peccatori rinunciate a quei peccati della carne, quando il diavolo si affaccia, rinforzate la mutanda. Quando accanto alla chiesa parcheggia un macchinone: scende Saro Branchia, detto Re Leone. Padre Coppola balbetta e conclude l’omelia con tre parole perché Sua Maestà deve fare la comunione!”.

Vincenzo Lalomia -ilmegafono.org