Nella legislazione degli ultimi anni, in Italia, sembra prevalere un tratto comune, “una sorta di rassegnata tendenza a sacrificare i controlli sull’altare della necessità di sostenere l’economia”, dimenticando che l’indebolimento dei controlli, innanzitutto quelli spettanti alla pubblica amministrazione, riduce l’efficacia stessa delle riforme e delle manovre finanziarie, acuisce le disuguaglianze sociali, sacrifica la trasparenza del mercato, agevola l’espansione affaristica delle mafie e, infine, indebolisce l’autorevolezza della pubblica amministrazione e la fiducia dei cittadini nello Stato”. Con queste parole, pochi giorni fa, il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo commentava la decisione del governo di introdurre degli emendamenti al decreto Pa per ridurre i controlli della Corte dei Conti sulle spese del Piano nazionale di ripresa e resilienza, (PNRR), un piano che per l’Italia vale 235,12 miliardi di euro.

Il governo Meloni, senza tenere in alcuna considerazione quelle parole e tantomeno le critiche dell’opposizione, dei sindacati e di molte associazioni di categoria, ha deciso invece di porre la fiducia sul dl che contiene gli emendamenti incriminati, pur di farlo approvare. La Camera ha confermato la fiducia al governo con 203 voti favorevoli, 134 contrari e tre astenuti. Dopo la Camera spetterà al Senato confermare la fiducia al decreto che, di fatto, consente di eliminare i controlli concomitanti della Corte dei Conti sul PNRR. Dopo aver riformato il codice degli appalti, liberalizzando di fatto la quasi totalità dei contratti pubblici, che, sotto la soglia comunitaria di 5,3 milioni di euro, potranno essere affidati in modo diretto, senza bando di gara, ora l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni ha fatto un altro pericoloso passo verso l’eliminazione di quei meccanismi che pongono un argine alle infiltrazioni mafiose e criminali nella Pa.

Come ha spiegato Melillo, “i controlli sono parte essenziale dei processi di spesa pubblica” e se il Paese ha il dovere di impiegare al più presto le risorse del PNRR, allo stesso tempo “deve farlo bene, evitando che esse si disperdano nei mille rivoli degli abusi e della corruzione ovvero finiscano nelle mani della criminalità mafiosa”. “Se si riflettesse sul fatto che il 70% delle opere pubbliche incompiute si trova nelle regioni meridionali – evidente riflesso, da un lato, di una storica, maggiore debolezza in quelle aree del Paese delle funzioni pubbliche e, dall’altro, della maggiore gravità dei relativi fenomeni criminali – forse si attenuerebbe la contrapposizione polemica fra la necessità di spendere presto e il dovere di farlo anche bene”, aggiunge Melillo in un’intervista a “La Stampa”.

Del resto uno dei ruoli principali della magistratura contabile, in base alla Costituzione, è proprio quello di garantire un controllo successivo sulla gestione del bilancio dello Stato e verificarne la regolarità e la legittimità. Secondo Melillo esiste una soluzione che il governo potrebbe percorrere per raggiungere un equilibrio tra i controlli e la necessità di rendere più fluide le procedure. Basterebbe applicare il principio per il quale chiunque riceve denaro pubblico deve dare conto di come lo impiega e per il quale l’uso di tale denaro deve essere tracciabile, agevolando i controlli successivi. Questo principio, previsto per altro dalla normativa Ue, attualmente “funziona poco e male”, sottolinea Melillo, mentre “la stagione del PNRR imporrebbe di estendere e dare efficienza a questo tipo di controlli. Le proposte tecniche non mancano”. Quella che sembra mancare, tuttavia, è la volontà politica di contrastare fenomeni, come l’infiltrazione mafiosa e la corruzione, che nei decenni hanno leso irrimediabilmente la fiducia dei cittadini nella Pubblica amministrazione, rovinando il nostro Paese e frenandone lo sviluppo virtuoso.

Redazione -ilmegafono.org