L’armadio della vergogna e dei silenzi è sempre lì, nei sotterranei dello Stato, avvolto nella sua tela di ragno. Custodisce segreti e ogni giorno il ragno inghiotte una preda in un abbraccio mortale, che soffoca. La sera del 25 gennaio 2016, nel quinto anniversario della rivoluzione egiziana, un ragazzo di 28 anni dal sorriso grande è al Cairo e sale sulla metropolitana per andare nella piazza simbolo di quella rivoluzione: piazza Tahrir. Non ci arriverà mai. In quella piazza, all’uscita della metropolitana lo aspetta la sua notte che, in silenzio, lo trascina verso quei sotterranei che lo stanno aspettando. Quella sera si ferma la vita di quel ragazzo, nato in provincia di Udine, in un paese dal nome gentile: Fiumicello. Chi lo ha conosciuto lo ricorda come un ragazzo che amava la vita e che non aveva paura delle strade del mondo. Lui le percorreva quelle strade: da Fiumicello a Trieste, dal New Mexico agli Stati Uniti, perché il mondo bisogna conoscerlo e attraversarne ogni strada è indispensabile per riuscire a capirlo e ad amarlo.
È un ragazzo curioso, Giulio, perché la curiosità è il gradino fondamentale dell’intelligenza. E poi c’è quella passione per lo studio, la scrittura, il giornalismo. Tante cose che, messe insieme, dipingono il quadro straordinario di una vita che va vissuta e assaporata fino in fondo, con entusiasmo, da vero cittadino del mondo: l’università in Inghilterra e la laurea a Oxford, il dottorato a Cambridge. Poi l’ultima strada: l’Egitto. Su quella strada si incammina per compiere una ricerca sui sindacati indipendenti egiziani, quelli che il generale Abdel Fattah al-Sisi considera i principali oppositori politici e quindi i nemici più pericolosi per il suo regime. È tutto questo a spingerlo dentro quell’armadio nei sotterranei dello Stato italiano. Da quella sera, il 25 gennaio 2016, quel ragazzo di Fiumicello diventa il nome che tutta l’Italia impara a conoscere: Giulio Regeni.
La storia di Giulio è la storia di un omicidio di Stato e, accanto alle mani dei mandanti e degli assassini, si intravede nitidamente l’ombra inquietante di altre mani: quelle pallide e tremanti dello Stato italiano che contribuiscono ad occultare ogni verità, incapaci di strappare il telo che ricopre la storia di Giulio. Sappiamo tutti che le responsabilità della morte di Giulio hanno nomi e cognomi che portano al Cairo, dentro gli apparati di sicurezza della Repubblica d’Egitto e dentro le sue stesse istituzioni. Le indagini della Procura della Repubblica di Roma lo dimostrano e la stessa Procura ha chiesto il rinvio a giudizio per quattro esponenti dei servizi segreti egiziani accusati del sequestro, delle torture e dell’omicidio di Giulio Regeni: “Per il generale Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, Magdi Ibrahim Abdelal Sharif le accuse variano dal sequestro di persona pluriaggravato al concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate” (leggi qui).
Ci sono delle certezze, dunque, eppure quel processo ancora non si avvia. Da un lato del tavolo è seduto l’Egitto, un paese guidato da un regime militare e poliziesco, che fin dal primo giorno ha chiaramente dimostrato di non essere disposto a nessuna collaborazione in un processo dove gli imputati sono i suoi vertici politici e militari. Dall’altro lato del tavolo c’è un Paese, il nostro, che da quella sera del gennaio 2016 non ha mai veramente contrastato il regime egiziano ma si è sempre mostrato succube. Solamente un temporaneo richiamo a Roma dell’ambasciatore italiano in Egitto, che ha illuso solo per un attimo su una possibile collaborazione, ma tutto è rientrato in pochi giorni,
Ma è davvero solo debolezza oppure, dietro questa apparente debolezza, si nascondono altri obiettivi e altre ragioni? È evidente che si nascondano altre ragioni: interessi geopolitici, economici e militari, prima di tutto. Con l’Egitto si concludono affari, si stringono alleanze strategiche. Questo è un dato di fatto che ha accumunato tutti i Governi che dal 2016 si sono succeduti in Italia, senza distinzioni.
Il peso specifico di accordi economici e militari di rilievo con l’Egitto pongono l’Italia e il governo italiano in una posizione di scambio – affari in cambio del silenzio sulla morte di Giulio – che soffoca ogni possibilità di arrivare alla verità sull’assassinio. È un peso specifico che il nostro Paese conosce da tanto tempo: lo stesso che aveva conosciuto ai tempi dell’assassinio di Ilaria Alpi dove, anche in quel caso, gli equilibri politici costruirono un castello di connivenze e depistaggi, lasciando ad altri il completo controllo della situazione. In tempi più recenti, il parallelo si può fare con la firma degli accordi con la Libia, dove quel trattato era la contropartita sul controllo dei flussi migratori, o con la detenzione sempre in Egitto di Patrick Zaki la cui storia è sempre più lontana dalla sua reale conclusione e procede ormai dal febbraio 2020, quando Patrick viene arrestato all’aeroporto del Cairo. Ogni volta un rinvio, e i giorni e gli anni di Patrick passano così.
La “verità per Giulio Regeni” è vittima di questa tela di ragno: un anno fa i giudici decidevano la sospensione del processo per l’impossibilità di notificare gli atti agli imputati e la Corte di Cassazione italiana dichiarava “inammissibile” il ricorso della Procura di Roma contro questa decisione. Sappiamo tutti che un ricorso può essere rigettato e considerato non ammissibile, ma la parola “inammissibile” di fronte alla storia di Giulio suona come un ulteriore insulto inaccettabile. Eppure, nonostante i silenzi e la vergognosa debolezza dello Stato italiano, il nome di Giulio non viene dimenticato. La battaglia straordinaria dei suoi genitori continua e quello striscione giallo “Verità per Giulio Regeni” che sventola sui balconi, nelle Università e su tanti edifici pubblici, lo ricorda a tutti.
3 aprile2023, Roma. Un tentativo, forse l’ultimo possibile dal punto di vista strettamente giudiziario: arrivare alla Corte Costituzionale. La risposta a questa possibilità arriverà nei prossimi mesi. Erano previste le audizioni di Giorgia Meloni e di Antonio Tajani, presidente del Consiglio e ministro degli Esteri. Dovevano riferire dei colloqui avuti con il presidente Abdel Fattah al-Sisi durante l’incontro al vertice che si è tenuto agli inizi di novembre dello scorso anno. Giorgia Meloni e Antonio Tajani non si sono presentati: a novembre hanno stretto la mano di Abdel Fattah al-Sisi senza provare un brivido di vergogna, ma oggi tremano davanti al dovere di raccontare in un tribunale il contenuto di un colloquio, tremano davanti alla madre e al padre di Giulio e affidano il loro tremore all’avvocatura dello Stato, che comunica al tribunale di Roma che non potevano deporre: “Quei colloqui non sono divulgabili e, se divulgati senza il consenso dello Stato estero interessato, potrebbero incidere sulla credibilità dell’Italia nella Comunità internazionale”.
La credibilità dell’Italia… In altre parole significa che agli assassini di Giulio Regeni si deve chiedere il permesso anche per questo. Questo governo, come gli altri che lo hanno preceduto, si nasconde dietro un dito e tace, senza vergogna. L’Egitto di Al Sisi, gli equilibri e la credibilità dell’Italia, gli affari prima di tutto, e poi l’Avvocatura dello Stato: la premier Meloni e il ministro Tajani hanno fatto la loro scelta. Quello striscione giallo resterà al suo posto. Lo Stato e i governi continueranno a non vederlo, ma nessuno potrà rimuoverlo o sbiadirne il colore. Continuerà a sventolare al vento, ricordando a tutti i vigliacchi che un giorno, da un Paese con un nome gentile, un ragazzo di 28 anni è partito per camminare su ogni strada del mondo, sfidando la vita, cercando verità e giustizia, raccontando il marcio e i silenzi complici e conniventi di regimi e di potenti, di chi pensa che la vita di un ragazzo possa finire nei sotterranei dello Stato, dentro un armadio della vergogna che un giorno, prima o poi, dovremo pur riuscire ad aprire se davvero lo vorremo.
Quel giorno sapremo finalmente, nero su bianco, quelle tante verità che oggi vengono nascoste: su Giulio Regeni e su Ilaria Alpi, sui tanti nomi e sulle tante storie che questo Stato vorrebbe invece che noi dimenticassimo nell’oblio e nell’indifferenza. Quel giorno arriverà e nessuna Avvocatura dello Stato potrà nascondere i vigliacchi.
Maurizio Anelli -ilmegafono.org
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