Il 3 marzo scorso è stata depositata in Procura, a Roma, un’istanza per chiedere la riapertura delle indagini sull’omicidio di Pier Paolo Pasolini. Il celebre poeta, scrittore e regista venne assassinato ad Ostia il 2 novembre del 1975. Tuttavia, anche a distanza di molti anni, la dinamica dell’assassinio non sembra essere del tutto chiara. L’atto, redatto dall’avvocato Stefano Maccioni, a nome del regista David Grieco e dello sceneggiatore Giovanni Giovannetti, chiede di approfondire ulteriormente le indagini per scoprire a chi appartengano i tre Dna individuati dai carabinieri del Ris nel 2010 sulla scena del crimine. Buona parte dell’opinione pubblica ha ormai capito che Pier Paolo Pasolini e il suo presunto assassino Pino Pelosi si conoscevano da tempo, che all’Idroscalo di Ostia Pasolini ci era finito per recuperare le bobine rubate del suo film “Salò o le 120 Giornate di Sodoma”, girato per larga parte a Bologna e a Castelfranco Emilia. Sono passati 47 anni dalla sua morte e 101 anni dalla sua nascita, avvenuta a Bologna il 5 marzo 1922.
Marzo 1922 la nascita. Marzo 2023 la riapertura delle indagini sulla sua morte, o meglio sul suo assassinio. La morte di Pasolini, che non ha niente di accettabile o risolto, sembra, in questi lunghi anni, aver quasi ipnotizzato sia i suoi detrattori, sia, anche, i suoi più fanatici cultori: nessuno conoscerà mai la verità. Tutto questo ha consentito di trasformare il suo assassinio, secondo alcuni studiosi, in un’opera progettata da lui stesso, in un’opera da lui fortemente desiderata. Ma basta riprendere i suoi scritti o ascoltare la sua voce per capire quanto questa teoria sia scorretta oltre che ingiusta. Basta abbassare il volume della confusione generale per reimpossessarsi di quella sete di vita che per Pasolini è stata sempre insaziabile.
Su Pasolini sono stati versati fiumi d’inchiostro, sulla sua vita, sulle sue colpe, sui suoi film, sui suoi scritti, sulle sue visioni e previsioni, sulla sua filosofia, sul suo essere intellettuale, capace di esercitare una profonda influenza nella cultura politica, sociale, economica, culturale, artistica, estetica del nostro Paese e non solo. Pasolini ha spaziato dall’arte figurativa al cinema, dal pensiero politico alla letteratura, dalla poesia all’inchiesta giornalistica, dalla sociologia all’antropologia, dalla critica sociale al teatro. Cosa è rimasto del teatro di Pasolini? Cosa ha rappresentato Pasolini per il teatro? Nel 1966 decide di contribuire alla rinascita della drammaturgia italiana. Non procede con una singola opera, ma con un “pacchetto” di testi sui quali investe energie e passione. Riesce a lasciare un segno forte e controcorrente, in un momento storico in cui, accanto al classico teatro borghese, si alternavano il teatro politico e, nelle cantine underground, si privilegiavano la visionarietà e la fisicità.
Ma lui tira dritto, fino a portare in scena egli stesso una delle sue opere, cercando di dimostrare quanto, invece, le sue tragedie in versi fossero la vera alternativa a un teatro impantanato in vecchie e nuove ritualità. Fonda il teatro di poesia. Le sei opere (Orgia, Affabulazione, Pilade, Porcile, Calderon, Bestia da stile) stanno sul solco della tragedia greca solo in apparenza. Certo, il drammaturgo Pasolini è debitore nei confronti del mondo greco, ma sarebbe errato fermarsi qui e non andare oltre. Il teatro di poesia pasoliniano rimane piuttosto nel solco del grande rinnovamento del verso teatrale che attraversa il teatro europeo per tutto il corso del Novecento. Dietro il suo teatro ci sono sicuramente le letture giovanili, da William Butler Yeats agli altri drammaturghi irlandesi; ci sono sicuramente Thomas Stearns Eliot e Paul Claudel, fino ad arrivare ai tedeschi Peter Weiss ed Heiner Müller o ai poeti della beat generation come Allen Ginsberg, che Pasolini conobbe personalmente.
Il suo teatro di poesia riparte, inoltre, dal senso di Antonio Gramsci, che Pasolini amò visceralmente, o meglio del nuovo intellettuale che si erge contro l’omologazione, e perciò ha bisogno di esprimersi e rappresentarsi in modo nuovo. Fu difficile per lui individuare attori capaci di interpretare le sue opere, capaci di trasmettere al pubblico quelle parole cariche di lirismo con la forza dei loro sensi, del loro corpo, mantenendo la qualità ritmica e fonetica del verso. Salvava solo Eduardo De Filippo e Laura Betti, quest’ultima capace di non declamare, di non enfatizzare, di recitare con un tono piano, con forti sfumature cariche di ironia, di drammatizzare senza diventare accademica. Oggi le sue opere vengono portate nei teatri di tutto il mondo. Molti registi, tra cui Luca Ronconi, hanno portato in scena le sue tragedie. A Bologna, nell’ambito del progetto Arte Salute, il regista Nanni Garella ha portato in scena, nel corso degli anni, quasi tutto il teatro pasoliniano, facendo recitare attori e attrici professionisti, insieme a pazienti in carico al Dipartimento di Salute Mentale.
Pasolini ha messo le basi per una nuova tradizione drammaturgica. Le sue opere teatrali sono ancora oggi una sfida per gli artisti e per il pubblico, sono un vortice in cui farsi risucchiare e quasi soffocare perché, a tratti, manca il respiro; e non solo per le storie politiche, erotiche, autobiografiche che vengono proposte. Ma anche per i temi, per le riflessioni, per i dubbi, per l’inquietudine dei versi in cui sono scritte e devono essere recitate. La sua è una poesia che si finge prosa. Una poesia che si espande, con le parole pronunciate dalle labbra e dal corpo, una poesia che fa viaggiare nella storia dell’umanità. Aveva ragione Alberto Moravia, quando, durante l’orazione funebre pronunciò queste parole accorate: “Qualsiasi società sarebbe stata contenta di avere Pasolini tra le sue file. Abbiamo perso prima di tutto un poeta. E poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono tre o quattro soltanto in un secolo. Quando sarà finito questo secolo, Pasolini sarà tra i pochissimi che conteranno come poeta. Il poeta dovrebbe esser sacro”.
Come non condividere, inoltre, le parole dell’amico Eduardo De Filippo quando dice: “Perché io so distinguere morti da morti e vivi da vivi… Pasolini era veramente un uomo adorabile e indifeso, era una creatura angelica, una creatura che abbiamo perduto e che non incontreremo più come uomo, ma come poeta diventa ancora più alta la sua voce e sono certo che pure gli oppositori di Pasolini oggi cominceranno a capire il suo messaggio e quello che ci ha voluto dire”. Come non commuoversi, infine, alle parole di Oriana Fallaci quando seppe della morte dell’amico: “Dissero che da lontano non sembravi nemmeno un corpo, tanto eri massacrato. Sembravi un mucchio di immondizia e solo dopo che t’ebbero guardato da vicino si accorsero che non eri immondizia, eri un uomo. Mi maltratterai ancora se dico che non eri un uomo, eri una luce, e una luce s’è spenta?”.
Vincenzo Lalomia -ilmegafono.org
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