Lasciate perdere quella lettera N e quello strafalcione che trasforma l’ortografia in una drammatica carenza, che indubbiamente non si può perdonare a chi ricopre un ruolo istituzionale così importante. Lasciate perdere e non insistete nella presa in giro, perché sarebbe una nuova maniera di buttare nel ridicolo ciò che è tremendamente serio. E soprattutto perché sposterebbe ancora una volta l’attenzione su ciò che rileva meno. Quello che a Lorenzo Fontana non si può perdonare è ben altro. Perché Lorenzo Fontana non avrebbe mai dovuto sedere nello scranno più importante di Montecitorio, mettendo il suo nome nello stesso elenco di grandi personalità che hanno rappresentato la Repubblica: da Nilde Iotti a Sandro Pertini, da Pietro Ingrao a Oscar Luigi Scalfaro. Si dirà che in quell’elenco ci sono anche nomi della seconda Repubblica, quella meno nobile, come Casini, Pivetti, Fini, Bertinotti, Fico. Nemmeno questi ultimi, tuttavia, meritano di avere un successore così.
Perché non esiste un punto più basso di questo, e non certo per quella lettera N che ha soppiantato la M nella parola impiegato, ma perché non esiste un personaggio meno indicato a rappresentare la Repubblica e a essere il garante del corretto funzionamento di un ramo parlamentare. Le istituzioni vanno rappresentate da chi ha sempre rispettato, quantomeno nella sua azione politica, la Costituzione e la democrazia. Fontana non rappresenta nulla di tutto ciò, non rappresenta tantomeno gli italiani ma solo una parte, la peggiore. Dalla sua bocca sono uscite parole terribili, stracolme di odio razziale, omofobo, disumano. Chi ha ancora salda la memoria, non può non ricordare le sue invettive contro gli omosessuali, gli epiteti razzisti contro i migranti, compresi i bambini, contro le famiglie diverse da quella che lui e i suoi sodali ultracattolici del Family Day definiscono tradizionale. O le sue posizioni ignobili contro l’aborto, la sua adesione a gruppi che chiedono l’abrogazione della legge 194.
Non è tutto, poiché l’uomo che questa nuova maggioranza di governo ha scelto come presidente della Camera dei Deputati è colui che inneggiava a Putin e dialogava con le organizzazioni di estrema destra, come i neonazisti greci di Alba Dorata. D’altra parte, Fontana è la peggiore espressione della Lega formato Salvini, di cui è uomo fidato e al quale deve sia la precedente nomina a ministro della Famiglia, sia la attuale elezione a presidente della Camera. C’è poco da scherzare, allora, su strafalcioni presunti, veri, sinonimo di ignoranza, svista o qualsiasi cosa sia. Fontana, nel suo curriculum, vanta due lauree, ma questo certo non lo tutela dalla possibilità di essere poco preparato in italiano. Il punto, però, non è sapere se il neopresidente faccia fatica con l’ortografia, qui il punto è che la fatica la farà la democrazia. E anche con gli italiani, perché la visione del mondo di Fontana è lontanissima dalla vita reale degli abitanti di questo Paese, che possono giocare a fare gli ultraconservatori e i moralisti patologici, ma che in realtà alla fine vivono vite completamente diverse da quelle che promuovono.
Certo però che la questione della sua elezione a Montecitorio non è marginale, non deve esserlo, a maggior ragione in questo momento. Perché si sta consumando una ridicola e pericolosa battaglia di potere sulla pelle dello Stato e della sua credibilità. Il braccio di ferro tra Giorgia Meloni e i suoi alleati ha partorito mostri. Al di là della facciata di responsabilità e moderazione, Meloni continua a condurre una strategia di consumazione del potere che mira a scalciare fuori gli elementi, per così dire, più moderati della coalizione. Vuole demolire e fare implodere Forza Italia (anche sfruttandone gli errori o i “casuali” spifferi) per sposare l’idea sovranista e portarla avanti tenendosi buono, ma in posizione subalterna, Matteo Salvini, il cui partito, almeno nella fisionomia attuale, è molto più simile a Fratelli d’Italia di quanto non lo sia quello di Berlusconi.
Così accade che i presidenti delle Camere siano espressione delle due aree meno liberali e più estremiste, con una totale noncuranza per la serietà e la credibilità delle istituzioni. Se La Russa è già un nome divisivo, nonostante in età adulta abbia comunque svolto il suo ruolo politico dentro i meccanismi della democrazia, Fontana è qualcosa di estremamente peggiore. Non è un nome politico, ma un personaggio da film horror, il totem di una ideologia funesta, medievale, più simile a quella del Ku Klux Klan che a quella di un rappresentante delle istituzioni che dovrebbe essere uno dei garanti della Costituzione e dei diritti che essa riconosce a tutti, attraverso il magnifico testo dell’articolo 3.
Giorgia Meloni sta giocando con il fuoco, spingendosi molto oltre i limiti, aggredendo silenziosamente la forma e le buone consuetudini, ma anche la sostanza vitale delle istituzioni. In questo gioco ha trovato sponda in qualche franco tiratore delle opposizioni o di coloro i quali fingono di farne parte, ma anche e soprattutto in chi continua a tessere le sue lodi, una volta in nome del suo essere la prima donna premier, un’altra volta in nome del suo presentarsi come risoluta e non ricattabile (quante memorie corte in giro…), un’altra ancora in nome dell’antiberlusconismo e del divertente declino del vecchio Caimano. Tutto ciò dimenticando che, intanto, sta prendendo forma il suo pericoloso progetto politico. E se il buongiorno si vede dal mattino, per il domani non è difficile scorgere nubi all’orizzonte.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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