Secondo l’associazione ReggioLiberaReggio, nata nel 2010 a Reggio Calabria su su iniziativa del comitato locale di Libera, fare impresa in Calabria, nonostante le enormi difficoltà legate alla presenza mafiosa, alla carenza di servizi e a diverse altre problematiche, è possibile. Difficile, certo, ma possibile. Una affermazione che deriva dall’indagine “La libertà non ha pizzo”, condotta proprio da ReggioLiberaReggio. Lo scopo principale dello studio è quello di scattare una fotografia quanto più accurata possibile sulla situazione attuale delle imprese in Calabria e, nello specifico, di quelle che hanno deciso di aderire al progetto di legalità e giustizia ideato dalla stessa Libera. Dai dati emersi (raccolti in un report curato da Dario Musolino, docente presso la Bocconi di Milano) traspare una realtà fatta di tante luci e altrettante ombre. Se da un lato, infatti, si sono registrate delle sorprese positive, dall’altro si sono palesate problematiche ormai secolari, frutto di una situazione socio-politica che pare peggiorare sempre più nel tempo.
Uno degli aspetti positivi è sicuramente il fatto che più del 40% delle imprese intervistate ha risposto che “da quando ha aderito al progetto ReggioLiberaReggio, la percezione della propria attività economica è cambiata in meglio”. Non solo: le imprese iscritte non hanno notato né cali di fatturato né di clientela, con un 20% di queste che ha persino “registrato un aumento”. Segno, questo, che la partecipazione a programmi e associazioni pro legalità e antimafia non penalizza le imprese, ma anzi le premia. Con ogni probabilità, infatti, il cliente moderno ha sempre più a cuore la questione etica e morale che lega imprese e territori e, per questo, tende a premiare tutte quelle aziende che lottano per migliorarlo. Se la percezione da parte degli utenti è cresciuta positivamente, lo stesso si può dire anche per le aziende.
Secondo quanto emerge dal report, infatti, l’80% di queste “valuta questa esperienza positivamente o molto positivamente” e questo perché ReggioLiberaReggio è riuscita a colmare quella “sensazione di isolamento” che è tipica di chi fa impresa in territori tanto difficili. Il 60% delle aziende intervistate, inoltre, hanno ammesso di essersi sentite “supportate nella loro attività di impresa”, a dimostrazione che l’impegno profuso dall’associazione è tangibile. Purtroppo, però, le difficoltà non mancano, ma anzi rischiano di nuocere gravemente allo stato di salute di queste aziende. Tra le maggiori problematiche emerse dall’indagine vi sono:
- una scarsa propensione all’internazionalizzazione legata a limiti territoriali e commerciali;
- un malfunzionamento cronico della Pubblica Amministrazione e dei servizi collettivi (smaltimento rifiuti, servizi idrici ecc.);
- scarse infrastrutture di trasporto e di telecomunicazioni;
- la presenza della criminalità organizzata.
Proprio la pressione mafiosa è una delle criticità maggiormente citate dalle aziende intervistate: in fin dei conti, è proprio una presenza criminale così forte a rendere poi tutto il resto scadente e invivibile. Più mafia significa meno efficienza, meno infrastrutture, minori investimenti. E, in definitiva, meno competitività per tutte quelle aziende locali che, vittime di una competitività sempre più alta e di costi sempre più ingestibili, sono costrette a chiudere i battenti. Nonostante in questi anni il fenomeno del racket sembra sia diventato meno opprimente in certi settori (grazie all’azione dell’antiracket), questo non significa che fare impresa in Calabria sia immune da condizionamenti mafiosi e minacce.
Specie per chi lavora nel mondo dell’edilizia o del reclutamento del personale: realtà, queste, praticamente destinate a scendere a compromessi con attività illecite e illegali. Come fare per superare criticità tanto croniche quanto apparentemente insuperabili? Secondo le imprese che hanno aderito al progetto di ReggioLiberaReggio, da un lato sono necessari “più controllo e vigilanza sul territorio”, oltre a una “maggiore capacità di intervento per proteggere al meglio aziende e cittadini”. Dall’altro, inoltre, sono richiesti un “supporto economico a chi denuncia”, ad esempio attraverso delle agevolazioni fiscali, e una ”azione migliore e ad ampio raggio degli enti di governo nazionale e locale per migliorare il contesto, istituzionale, infrastrutturale e sociale e ridurre quindi il drammatico isolamento in cui operano”.
Risulta evidente come vi sia bisogno, in poche parole, di interventi mirati e precisi, con investimenti sostanziosi sul e per il territorio, così da chiudere quanto prima un gap sempre più ampio con le imprese del Centro e del Nord Italia. Fare impresa al Sud, e in Calabria in particolare, non è affatto facile, lo abbiamo già detto, ma è proprio grazie a realtà come ReggioLiberaReggio e alle associazioni di categoria che è possibile credere in un cambiamento. Cambiamento che, come emerso dai dati dell’indagine, sembra aver già preso piede, almeno da parte dei clienti e, quindi, dei cittadini comuni. Spetta adesso agli enti istituzionali, locali e non, agire in maniera decisa e diretta, una volta per tutte. Sono in gioco la salute delle aziende, delle piccole e medio imprese che sono una risorsa importante del nostro Paese, e la dignità di chi governa certi territori.
Giovanni Dato -ilmegafono.org
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