A distanza di due anni, i terreni affidati alla cooperativa “Le Terre di Rosario Livatino – Libera Terra” sono andati nuovamente a fuoco. O meglio: qualcuno ha deciso che fosse il caso di incendiarli, mandando così in fumo decine di ettari coltivati a grano e lenticchie. La situazione che si respira a Naro (AG) in queste ultime settimane non è delle più semplici: a destare maggiormente rabbia e preoccupazione è proprio l’attività sempre più intensa e mirata della criminalità organizzata locale. Gli incendi, infatti, sono stati appiccati nel giro di una settimana a distanza l’uno dall’altro, a dimostrazione dell’esistenza di un piano ben organizzato dietro la serie di intimidazioni. La cooperativa non è nuova a questi tipo di attacchi e minacce.
Già due anni fa, infatti, proprio nello stesso periodo, diversi terreni erano stati date alle fiamme e, in seguito alle indagini, era risultato chiaro come l’azione avesse una innegabile matrice mafiosa. Oggi, la “nuova” realtà non è poi così diversa, con gli inquirenti che stanno ancora cercando di capire cosa e chi abbia innescato le fiamme. Nonostante la preoccupazione e il crescere di un’attività criminale sempre più violenta, c’è la buona notizia della risposta che la parte sana della società ha dato: istituzioni e parti sociali si sono infatti strette attorno alla cooperativa, dimostrando grande unità e vicinanza. Fattori, questi, che danno speranza e voglia di riscatto, sia per i ragazzi della cooperativa stessa, sia per l’intero territorio.
Per questo motivo, lo scorso martedì 5 luglio, associazioni, cooperative ed esponenti politici locali si sono riuniti nei pressi dei terreni incendiati, per un sit-in di protesta e solidarietà. Al sit-in hanno partecipato, tra gli altri, le agenzie sociali di Agrigento (con i sindacati Cgil, Cisl e Uil), le amministrazioni comunali di Naro, Canicattì e Favara e diversi cittadini delle località limitrofe. La sindaca di Naro, Maria Grazia Brandara, si è detta “sgomenta e adirata” perché ”ancora una volta sono stati arrecati danni per migliaia di euro a chi stava provando a rendere produttive quelle aree”. “Per questo – ha aggiunto – credo che sia arrivato il momento non solo di manifestare l’indignazione ma anche di dimostrare che la società civile è pronta ad essere scorta civica”.
Dello stesso avviso il sindaco di Favara, Antonio Palumbo, il quale ha manifestato massima vicinanza alla cooperativa Libera Terra per il secondo “atto spregevole, che mortifica chiunque coltivi l’idea di una Sicilia diversa e ferisce l’idea stessa dell’assegnazione dei beni confiscati, che devono tornare a generare ricchezza per la società civile”. “Non è la prima volta che si è in presenza di atti criminosi contro questo vero avamposto di lotta alla mafia – ha affermato Lillo Bruccoleri, presidente provinciale di Auser Agrigento – e ci auguriamo che le istituzioni possano presto assicurare alla giustizia gli autori di questi gesti criminali. I beni confiscati alla mafia possono e debbono concretamente segnare il momento della restituzione alla collettività della ricchezza sottratta dalla mafia ai cittadini”.
In poche parole, si ha la possibilità di far sì che questi beni diventino “aziende sane, ma anche servizi e spazi per la socialità, una ricchezza che dai mafiosi deve ritornare ai cittadini”. In terre come quelle dell’entroterra siciliano, idee del genere possono sembrare utopiche o addirittura azzardate, ma è proprio la presenza di avamposti antimafia come la cooperativa “Le Terre di Rosario Livatino” a tenere ancora viva la speranza che qualcosa possa realmente cambiare, una volta per tutte. Una speranza forse flebile, forse sempre più a rischio, ma che non deve mai mancare nelle menti e nei cuori dei siciliani onesti. Proprio come quelli di chi porta avanti il progetto Libera Terra. E di chi, nel proprio piccolo, combatte quotidianamente contro atteggiamenti e pratiche mafiose, oltre che contro i loro sistemi di inquinamento dell’economia e del futuro dei territori.
Giovanni Dato -ilmegafono.org
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