La guerra è sempre mostruosa, a qualsiasi latitudine, chiunque sia coinvolto. Non esistono conflitti meno dolorosi, meno orribili o meno importanti di altri. Non esistono differenze. Le guerre hanno un linguaggio unico: violenza, sangue, orrore, morte. Sono tutte uguali. Così come sono uguali le vittime di guerra, le persone costrette a scappare o a subire il fuoco dei proiettili, dei mortai, delle mine e delle bombe che cadono dal cielo. Quella tra Russia e Ucraina, da alcuni viene ritenuta una guerra diversa. C’è chi la considera perfino la prima nel cuore dell’Europa dalla fine del secondo conflitto mondiale, dimenticando in un attimo l’ex Jugoslavia, gli anni di conflitto terribili, con l’Europa e la Nato che a lungo si sono voltate dall’altra parte, mentre avvenivano i massacri, Srebrenica, Sarajevo, gli stupri, la pulizia etnica. Il conflitto tra Russia e Ucraina ha avuto una risposta differente, un’enfasi gigantesca. Lo dimostra la reazione durissima e immediata dei governi europei, degli USA, di gran parte degli opinionisti e delle forze politiche.

Una reazione che sembra suggerire che la diplomazia è passata di moda e che in realtà cresce una sottesa voglia di guerra, di regolare conti e rancori che durano da tempo. Come è prassi, ormai, nell’epoca che ha smarrito il carattere maiuscolo della politica, la scelta prediletta è quella di rinchiudersi subito dentro delle fazioni, nell’ottica sempre più infantile di chi non prova nemmeno per un attimo a ragionare prima di comunicare: da un lato, gli amici dello spietato liberticida Putin, che sono un miscuglio caotico di sovranisti, destrorsi, regimi veterocomunisti e forze segnate da una anchilosata quanto sterile retorica antiamericana o antiNato; dall’altro, gli amici di Zelensky, ossia coloro che non si accorgono della strategia suicida e ugualmente guerrafondaia di un leader incapace e incompetente, che continua a mandare il proprio popolo al massacro per smentire, attraverso la resistenza, l’idea putiniana che l’Ucraina non sia mai stata una nazione.

In questa tragica contrapposizione, ci sono finiti non solo osservatori, attivisti, cittadini, ma anche governi e leader politici di molti Stati, compreso il nostro, guidati e popolati da chi non si cura troppo delle conseguenze delle scelte e delle azioni compiute. Tra chi si schiera poi non mancano naturalmente gli opportunisti, quelli che, cambiando bandiera, sperano di far dimenticare la stima e l’ammirazione espresse apertamente nei confronti di Putin in questi anni. Le destre europee e italiane, da Le Pen a Orban, da Giorgia Meloni a Matteo Salvini, hanno osannato il leader russo. In Italia, la giravolta di Salvini e Meloni sorprende meno di quanto non avvenga all’estero. I due prodi sovranisti italici, infatti, hanno abituato il nostro Paese alla loro carriera politica zeppa di contraddizioni, arrampicate imbarazzanti e gaffe.

Ci è voluto un sindaco polacco per sottolineare tutta la pochezza di Salvini e del tipo di politica che rappresenta. Sta facendo il giro del web la pessima figura che il senatore leghista ha rimediato in Polonia, dove il sindaco di destra della cittadina di Przemysl, al confine con l’Ucraina, ha rifiutato di ricevere il leader della Lega, accusandolo vis a vis per la sua vicinanza a Putin. Ma quel che fa obiettivamente più impressione (o disgusto) nel video, è la risposta di Salvini, il quale precisa di essere lì in Polonia per occuparsi dei rifugiati, delle donne e dei bambini in fuga dalla guerra. Una nuova e falsa versione di un uomo che, insieme alla sua collega di schieramento Meloni, sin dallo scoppio del conflitto, non perde occasione per sottolineare che gli ucraini vanno accolti perché sono rifugiati diversi dagli altri. Lasciando naturalmente intendere che altri migranti, provenienti da altre zone, non sono ammessi e che, in qualche maniera, i loro conflitti e le loro vicende umane sono poco credibili. La Meloni stessa ha dichiarato che uno Stato vero accoglie i profughi ucraini ma tiene fuori gli irregolari.

Una logica abominevole che dimentica l’orrore vissuto da migliaia e migliaia di migranti in fuga dalla Siria, un conflitto che evidentemente ci interessa meno seppur strettamente connesso alla Russia e a Putin, o dall’Afghanistan o da altri luoghi dilaniati da guerre etniche, violenza, persecuzioni, regimi autoritari. Migranti che sono trattenuti da tempo, al gelo, negli stessi confini (ad esempio in Polonia, Ungheria, Slovacchia, Romania) dai quali adesso vengono fatti passare i cittadini ucraini che scappano dalle bombe. Poco importa che l’UE abbia trovato un accordo per una protezione temporanea per chi risiede stabilmente in Ucraina, perché questo lascia comunque fuori i migranti appena arrivati alle porte orientali d’Europa per poter trovare una salvezza, un riparo. Per loro nessuno sconto. Restano dove si trovavano prima del conflitto, al gelo, dietro la porta d’ingresso dei cosiddetti paesi del Visegrad.

Questo è il prodotto delle politiche delle destre, di quel sovranismo che ha acceso il fuoco dell’odio in Europa, un odio di cui sono responsabili anche le forze democratiche, che non hanno saputo controbattere con il coraggio necessario, preferendo anzi sposare logiche molto simili, presentate però con una facciata più formale, meno rozza, ma ugualmente spietata ed elettoralmente più funzionale. A questa politica disumana ha contribuito anche la destra italiana. Una destra che ha amato e osannato Putin e che oggi è costretta a prenderne in qualche modo le distanze. Una destra che, anche in piena guerra, continua a rotolare nel fango, cercando di mettere gli uni contro gli altri sempre i più disperati, di aizzare la lotta tra gli ultimi e i loro diritti reciproci. Lo fa Salvini, lo fa la Meloni, lo fanno le loro rappresentanze territoriali.

Un esempio su tutti: Cassibile, borgo rurale alle porte di Siracusa. Qui, in questo luogo di lavoro e caporalato, dove una parte della popolazione si arricchisce grazie al sudore e alla presenza dei braccianti stranieri, soprattutto nel periodo di raccolta che va da febbraio a giugno, qualche minuscolo personaggio politico, legato al partito della Meloni, ha deciso di mostrare la sua pelosa ipocrisia. La proposta è quella di destinare il campo di accoglienza dei braccianti (che sono già arrivati a Cassibile e per i quali quel campo non basterà, ammesso che il Comune si curi di far sapere quando e se lo aprirà) ai profughi ucraini, ai quali Cassibile può offrire “integrazione, solidarietà, luoghi di incontro”. Le stesse cose che i meloniani e i salviniani di Cassibile, che si nascondono dietro fantomatici comitati, non hanno mai offerto ai braccianti, a lavoratori, a gente che fatica e che, per di più, è vessata dai caporali e da aziende che utilizzano metodi illegali e schiavistici.

Migranti, anche loro, che vengono costantemente disprezzati da chi, in qualsiasi luogo, soffia sul vento dell’odio e dell’intolleranza. Questo è solo un caso infimo ma esemplare di quella che è la povertà politica, culturale e morale di una destra che non riesce ad evolvere. Come non riesce a evolvere la politica (italiana ed europea) nel suo insieme, ora totalmente aperta all’accoglienza degli ucraini, ma ancora dannatamente chiusa, crudele, spietata con chi viene da altri continenti e da identiche situazioni di guerra e violenza. Perché anche davanti all’orrore delle bombe e dei morti, c’è chi riesce ancora a fare differenze di colore della pelle, religione, lingua, tradizioni culturali. La verità è che l’essere umano è capace di ogni mostruosità e aberrazione e la guerra è solo il teatro ideale per la loro atroce epifania.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org