Nell’ordinamento costituzionale italiano, Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale (articolo 87, comma 1, della Costituzione). È questa funzione di garante degli equilibri e del rispetto della carta costituzionale a farne una figura capace di andare oltre i poteri specifici che spettano al Presidente. Poteri che spesso vengono considerati di secondo piano, quasi marginali rispetto alla vita politica e sociale del Paese, ma che in realtà lo rendono interlocutore di primo piano per tutti i poteri dello Stato: dalla facoltà di sciogliere le camere e indire nuove elezioni politiche alla nomina dei ministri e di cinque senatori a vita, alla facoltà di approvare le leggi o rinviarle al parlamento per correggerle o modificarle. Il Presidente ha il potere di nomina di 5 dei 15 giudici della Corte costituzionale, presiede il Consiglio superiore della magistratura, ha facoltà di concedere la grazia ai condannati e, infine, ha il comando delle Forze armate.
In una Repubblica parlamentare non sono prerogative così marginali. Questo spiega tutta l’agitazione delle forze politiche che, in questo momento, buttano sul tavolo tutte le loro carte per condizionare e manovrare a proprio vantaggio l’elezione del prossimo Presidente della Repubblica. È un’agitazione priva di dignità etica e politica, che segna la continuità con la storica incapacità di questo Paese di guardare al bene comune e di imparare dalla propria storia. Nel momento in cui si chiedono enormi sacrifici alla comunità di un Paese che da tempo ha compromesso il futuro di intere generazioni e dove i cardini del bene comune – dall’istruzione pubblica alla sanità, dal lavoro ai diritti civili, dalla giustizia alla libera informazione – sono sempre più nelle mani di pochi, i giochi di palazzo diventano decisivi per il futuro prossimo.
In un Paese dove i confini fra ciò che è stato e non doveva essere sono sempre più invisibili, il passato rialza la testa e la voce. Tornano in gioco vecchi fantasmi e vecchi poteri, mai domi e mai rassegnati, mai usciti di scena dal grande palco del teatro della politica e del potere. Inseguono ogni strada, dalla minaccia della crisi istituzionale alla trattativa. Già, la trattativa, una parola che in questo Paese trova sempre una sponda, talvolta anche più di una, e la trattativa qualcuno la propone e qualcuno la accetta. Fra i nomi che si candidano al palazzo della presidenza uno in particolare è il simbolo di questo ennesimo sgarbo alla storia di questo Paese: Silvio Berlusconi.
La storia politica e imprenditoriale del “Cavaliere” è lo specchio in cui si riflettono tanti degli intrecci oscuri fra la politica e il potere, quasi un simbolo della peggiore storia d’Italia. Un impero economico nato con l’edilizia e cresciuto a dismisura: dalle televisioni all’editoria, dalla grande distribuzione alle assicurazioni fino alle scatole cinesi in cui si nascondono e si confondono le mille società offshore. A tutto questo si aggiunge il capolavoro mediatico dell’acquisto dell’A.C. Milan che lo ha visto come il presidente più vincente del calcio italiano, a cui i tifosi hanno perdonato tutto. Sulle origini di questo impero pesano come macigni i finanziamenti ricevuti, oscuri e mai chiariti fino in fondo.
La sua storia politica inizia ufficialmente con la sua “discesa in campo” nel 1994: “L’Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato da mio padre e dalla vita, il mio mestiere d’imprenditore. Qui ho anche appreso la passione per la libertà. Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica, perché non voglio vivere in un Paese illiberale governato da forze immature, e da uomini legati a doppio filo, a un passato politicamente ed economicamente fallimentare”. In realtà il suo legame con la politica risale alla fine degli anni ’70, collegato al Partito Socialista e all’amicizia con Bettino Craxi. Dal 1994, dopo la nascita del suo partito a cui viene dato il nome di “Forza Italia”, sarà Presidente del Consiglio per 4 mandati, alla guida di governi di centrodestra: fra i suoi alleati di governo ci saranno la destra di Gianfranco Fini e la Lega.
Già, proprio quella Lega che, dopo la caduta del primo governo vissuto insieme a Berlusconi e Fini, condurrà per anni una battaglia contro Berlusconi dalle pagine del giornale “La Padania”. Anni di accuse e riconciliazioni, di divisioni e alleanze ricomposte. Ma a gettare ombre alla sua immagine sono anche altri aspetti: i legami e i rapporti con uomini della mafia come Marcello Dell’Utri e Vittorio Mangano, l’adesione alla Loggia Massonica P2 di Licio Gelli (guarda il video). Non è questa la sede in cui far luce su questi legami: nelle aule dei tribunali una parte di questa storia è già stata scritta, ma solamente una parte. Ogni procedimento giudiziario nei confronti del “Cavaliere” ha portato con sé veleni e polemiche che hanno minato e indebolito la democrazia e la credibilità delle istituzioni. Una sola condanna è passata in giudicato: il processo Mediaset sui diritti televisivi, concluso con una condanna a quattro anni di detenzione per frode fiscale, ma di questi quattro anni tre sono stati coperti da indulto.
Una condanna scontata facendo il volontario in una casa di riposo per anziani. Prima e dopo, assoluzioni, prescrizione dei reati, amnistie e depenalizzazioni. Nei suoi anni da capo del governo sono state scritte leggi ad personam che sono state uno schiaffo in faccia alla giustizia. Nel luglio del 2001 il “Cavaliere” è nuovamente a capo del governo e la città di Genova conosce i giorni della “macelleria messicana”. Silvio Berlusconi e i suoi alleati di governo, guidano una repressione brutale che cancella una generazione dalla scena politica e sociale di questo Paese. Nessuno pagherà per quella mattanza. Negli anni successivi, il Parlamento italiano ha conosciuto come mai in passato la vergogna della compravendita dei senatori, pagati e corrotti per passare dal centrosinistra al centrodestra. Infine, ma non ultima per importanza, tutta la storia che ruota intorno a quanto accadeva nelle stanze private del re, storie di dame e cavalieri, storie ancora oggetto di procedimenti giudiziari.
Qual è, allora, l’eredità che il “Cavaliere” lascia a questo Paese? Quali sono i pregi che possono fare di lui il rappresentante dell’unità nazionale e il garante della Costituzione? Lui si è autocandidato, appoggiato dai suoi alleati di sempre e, attorno al suo nome, si aprono le danze. Si arriverà ad una trattativa per questo? Probabile, in questo Paese la trattativa è una costante storica. Ferisce e indigna che il maggior partito di centrosinistra, per bocca del suo segretario, ponga il veto alla sua candidatura non sulla base della sua storia politica, imprenditoriale e personale, ma sulla base del fatto che si tratti del leader di un Partito.
La domanda sorge spontanea: se il Cavaliere non fosse il leader di Forza Italia, sarebbe dunque accettabile la sua candidatura al Quirinale nonostante la sua storia? C’è un Paese rannicchiato su sé stesso, piegato dalla crisi economica e dalla pandemia. Le fabbriche chiudono e delocalizzano, licenziano, i morti sul lavoro sono una terribile contabilità quotidiana, la scuola e la sanità pubblica sono piegate al potere dei privati. Si chiedono sacrifici, coraggio e solidarietà ai cittadini. Questo Paese, o almeno una parte di questo Paese, merita rispetto. Le istituzioni e i partiti politici non sentono di condividere questa responsabilità e questo dovere? E l’informazione, pubblica e privata, da che parte sta? È solo questione di qualche settimana, poi conosceremo tutte le risposte.
Maurizio Anelli -ilmegafono.org
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