“L’anno vecchio è finito ormai, ma qualcosa ancora qui non va”. Erano gli ultimi giorni del 1978 e Lucio Dalla scriveva una delle sue canzoni più belle. Si chiudeva allora un anno durissimo e difficile, uno in più nella storia di questo Paese, che lasciò cicatrici profonde. Ma ogni ferita mette alla prova l’animo delle persone e genera quella voglia di reagire e di continuare un cammino, senza la quale ogni strada diventa una fermata. Ogni inverno nella vita delle persone porta con sé la stagione dei bilanci e, quasi mai, i bilanci sono in pareggio: le sconfitte fanno parte della vita e spesso si prendono il posto in prima fila, ma sono difficili da accettare e per questo proviamo sempre a trasformarle in qualcosa di nuovo, in una partita ancora tutta da giocare, e mai come questa volta ci sembra di avere diritto ad un secondo tempo. C’è uno specchietto retrovisore accanto a noi che ci permette di vedere tutto quello che ci lasciamo dietro.

Troppo facile parlare di come due anni di pandemia hanno cambiato la nostra vita, di come abbiano indurito il nostro carattere. Ognuno di noi ha reagito a modo suo, ognuno di noi ha perso qualche certezza o a quelle certezze si è aggrappato per rimanere in piedi. Quando tutto cominciò, nell’inverno del 2020, in molti pensavano che saremmo usciti migliori da questa storia: non è andata così. Qualcuno ha perso tanto e qualcuno ha perso tutto. Qualcun altro non ha perso nulla perché non ha mai avuto nulla da amare o da perdere, per esempio un’idea di vita in cui ogni cosa ha valore solo se condivisa.

“L’anno vecchio è finito ormai, ma qualcosa ancora qui non va”. Erano gli ultimi giorni del 1978, nell’Argentina dei generali e dei 30mila desaparecidos si erano appena giocati i mondiali di calcio che dovevano essere la vetrina luccicante del regime. Gli italiani applaudivano i gol di Paolo Rossi e Bettega mentre sull’Oceano continuavano i voli della morte, ma la stampa italiana più autorevole sceglieva di non dedicare grande spazio a quanto succedeva fuori dai campi di calcio argentini. Erano gli anni in cui la P2 di Licio Gelli controllava quasi tutto in Italia, anche il “Corriere della Sera”. E, infatti, la linea del “Corriere” era la più morbida. Oggi, il mondo si prepara per i prossimi mondiali di calcio che si giocheranno in Qatar, dove i diritti umani non valgono perché semplicemente non esistono, e la vetrina che nel 1978 è stata regalata ai Generali argentini oggi viene offerta agli Emiri del Qatar.

Lo specchietto retrovisore accanto a noi non sfuma nulla dei silenzi che da quasi sei anni avvolgono la storia di un ragazzo ucciso dai servizi segreti egiziani. Si chiamava Giulio Regeni e in Egitto stava svolgendo il suo dottorato per conto dell’Università di Cambridge. La relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul rapimento, le torture e l’assassinio di Giulio afferma che “…Giulio Regeni è stato rapito, torturato e ucciso dai servizi di sicurezza egiziani, in particolare da funzionari della National Security Agency”, ma tutto questo non modifica nulla nei rapporti torbidi e ambigui fra lo Stato italiano e l’Egitto. Dalla vendita di due navi da guerra e di armi, fino ad essere con Fincantieri il primo sponsor dell’Expo militare che si è tenuto alla fine del mese di novembre. Ai silenzi su Giulio Regeni si sono aggiunti i quasi due anni di detenzione di Patrick Zaki, ma gli interessi economici e geopolitici vincono sempre.

“L’anno vecchio è finito ormai, ma qualcosa ancora qui non va”. “… E quando è l’ora non c’è scuola più grande che pagare di persona un’obiezione di coscienza. Cioè violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva”. Don Lorenzo Milani lasciava questa frase alla storia; in molti l’hanno fatta propria, pagandone il prezzo. In questo anno che scappa via, in questo Paese che dimentica la sua storia, un uomo degno paga questa scelta: si chiama Domenico Lucano, Mimmo. Il prezzo lo ha stabilito la Corte, ma a deciderlo per lei e prima di lei, sono state le leggi sbagliate e un pugno di piccoli uomini sbagliati, ricchi di odio e malafede. Eppure, quel sindaco ha saputo insegnare, amare e unire, come pochi hanno saputo fare prima di lui. Ha donato se stesso, in cambio dell’emarginazione politica e dell’umiliazione umana.

Un giorno qualcuno dovrà chiedere scusa, in attesa di quel giorno quel qualcuno può solo vergognarsi di fronte alla storia e alla vita. Le leggi sbagliate esistono da sempre e hanno lunga vita. È passato un altro anno, ma le leggi che escludono gli ultimi della fila restano scritte: la Bossi-Fini e i decreti sicurezza, per esempio. Accanto a loro restano i CPR, i lager a cielo aperto inventati dallo Stato che dimentica ed esclude, accanto a loro non c’è traccia di una legge sullo Ius Soli, che rimane solo un’ipotesi giuridica e nient’altro.

“L’anno vecchio è finito ormai, ma qualcosa ancora qui non va”. C’è un tempo infinito dove qualcuno deve continuare a scegliere se morire di fame o morire di lavoro, ma comunque morire. A Taranto è ancora e sempre così, come anche nei campi dove i caporali, insieme alla politica che non c’è (e quando c’è non guarda), decidono quanti pomodori si devono raccogliere prima di morire di freddo e di stenti e cedere il pasto e il posto a chi è in fila davanti alle baraccopoli. Cedono il posto anche i lavoratori che vengono licenziati con un messaggio sul telefonino, cedono il posto e con loro anche la fabbrica che viene delocalizzata in altri punti del pianeta, dove la vita e i diritti contano poco più di nulla e la fila di chi aspetta un lavoro è una carovana che cresce un giorno alla volta. Il mondo guarda e finge di non vedere quella parte di umanità che non ha più nulla da difendere, che per mangiare fa la fila alla mensa dei poveri e che dorme sotto i ponti della città, a pochi metri dal lusso e dalle vetrine piene di luci.

“L’anno vecchio è finito ormai, ma qualcosa ancora qui non va”. C’è un tempo dove la libertà di stampa e di opinione è ancora un’utopia in tanti angoli del mondo. In altri angoli dello stesso mondo è invece diventata un salotto per pochi intimi, servi fedeli del potente di turno, ma la dignità non abita nei salotti: la dignità cerca le notizie sulle strade, si infila nei meandri del sottobosco, cerca legami e connessioni, entra nei territori di pace e di guerra. La dignità di un giornalista è merce rara e pericolosa: nei primi nove mesi del 2021 “Reporters sans frontières sulla libertà di stampa” conta 24 giornalisti uccisi e 350 giornalisti arrestati e che ora si trovano in galera. E allora il pensiero corre alle donne e agli uomini che in questo Paese e nel mondo hanno saputo dare un senso e una bellezza a questo mestiere, così bello e così umiliato.

“L’anno vecchio è finito ormai, ma qualcosa ancora qui non va”. C’è una generazione in cammino, è un cammino duro e che trova molti ostacoli sulla strada. Il futuro di questa generazione è una scommessa che non può essere persa, perché il tempo corre e questo mondo non può più aspettare. Questa generazione, più di altre, dovrà combattere su molti fronti: il diritto e la democrazia, la mescolanza multietnica, il lavoro, l’ambiente, la pace. Poi c’è un’altra generazione, la mia …noi, che pensiamo e riteniamo di avere ancora qualcosa da dire e da fare, e forse la cosa più importante è non lasciare mai sole le altre generazioni a combattere una battaglia che sembra impari. Noi, che tanto tempo fa pensavamo di cambiare il mondo e non ci siamo riusciti, ma il mondo non ha cambiato molti di noi: quella rabbia e quei sogni esistono ancora, ma dobbiamo imparare a camminare accanto agli adulti di domani con discrezione, senza pensare di esserne la guida. Si chiama solidarietà, libera da quel fardello di leadership che ancora ci portiamo nella testa. È la loro strada e devono percorrerla liberi dai condizionamenti che troppe volte noi ci portiamo dietro, figli della nostra storia.

“L’anno vecchio è finito ormai, ma qualcosa ancora qui non va”. Era bella quella canzone di Lucio Dalla, il 1978 stava per finire ed era stato un anno durissimo. Sulle strade di quella mia generazione c’erano mille speranze che hanno incontrato tante sconfitte, ma c’era un secondo tempo ancora da giocare. Oggi, come allora, c’è ancora la voglia di credere che questo mondo possa ancora trovare una strada diversa perché, come diceva l’ultima strofa della canzone: “…E se quest’anno poi passasse in un istante/Vedi amico mio/Come diventa importante/Che in questo istante ci sia anch’io/L’anno che sta arrivando tra un anno passerà/Io mi sto preparando, è questa la novità”.

Maurizio Anelli -ilmegafono.org