Il tema legato ai beni confiscati alla mafia è da sempre teatro di dibattiti e riflessioni che vede come protagonisti più o meno tutti: dalla politica alle associazioni di settore, passando per la Chiesa e, ovviamente, la società civile. Su questo tema l’Italia è piuttosto avanti rispetto a tanti altri Paesi europei (e non solo): è ormai dal 1996, infatti, che nel nostro Paese è possibile assegnare agli Enti locali i beni confiscati alle mafie, grazie a una legislazione che rende l’Italia un’avanguardia nel mondo del contrasto alla criminalità organizzata. Di certo, la presenza secolare di questo male terribile sul nostro territorio ha sicuramente fatto sì che certe misure venissero prese prima che altrove e probabilmente anche in maniera più efficace.
Quel che non va dimenticato, comunque, è anche il grande sforzo fatto da tantissime associazioni (come Libera), che ha permesso che i beni venissero effettivamente consegnati nelle mani della pubblica amministrazione e gestiti nel migliore dei modi. A distanza di 25 anni e con una pandemia ancora in corso (con impatti negativi importanti in ambito economico), la situazione legata ai beni confiscati alla mafia è però in chiaroscuro. Da un lato, ci sono i tanti risultati positivi ottenuti in questi anni, sul piano sociale ed economico e anche più squisitamente simbolico, dato che la confisca di un bene e la riassegnazione dello stesso, oltre a essere uno smacco nei confronti della criminalità, è anche un esempio di riconquista del territorio, di uno spazio che torna nelle mani della comunità e della legalità. Dall’altro lato, però, ultimamente si sono registrati diversi problemi e, come al solito, hanno a che fare con le risorse.
L’assenza di fondi pubblici, infatti, ha impedito che l’ente incaricato di verificare l’effettiva assegnazione dei beni (ANBSC, Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata) potesse dedicarsi alla ristrutturazione degli stessi. Inoltre, gli Enti locali devono attivarsi alla ricerca di investitori o comunque di fondi che vadano convogliati verso la riqualifica dei beni, il tutto con esito spesso negativo. Insomma, saremo pure tra i primi ad aver messo in moto una campagna ben strutturata di contrasto alla criminalità, ma se manca il carburante che mantiene in vita la macchina, la strada da percorrere rischia di farsi sempre più corta. Ed è proprio su questo che il governo può e deve intervenire.
Nelle prossime settimane, infatti, la nuova legge di bilancio dovrà essere approvata, e quale momento migliore se non questo per destinare nuovi fondi verso l’ANBSC? Non solo: proprio nelle ultime settimane l’Agenzia per la coesione territoriale ha emesso un bando per la consegna di ben 250 milioni da destinare al recupero dei beni confiscati alle mafie. Si tratta di una parte importante del PNRR, piano finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del programma Next Generation EU. Un grande passo in avanti, questo, ma che rischia di non essere abbastanza: il bando, infatti, è sì destinato a progetti di ristrutturazione e ricostruzione dei beni confiscati “per la restituzione alla collettività e il reinserimento di tali beni nel circuito legale dei territori di appartenenza” , ma vede come destinatarie soltanto le regioni del Sud. Come se la mafia al Nord non esistesse o non possedesse beni confiscati alle organizzazioni criminali.
C’è ancora tempo per correggere il tiro e rimediare ad un errore che speriamo sia esclusivamente di forma, perché se davvero si vuole combattere la mafia a 360 gradi, non ci si possono permettere certe amnesie. Sicuramente, la mafia al Sud è presente e in forse più potente, soprattutto in alcune zone, a livello di controllo del territorio, ma è spesso al Nord che realizza gli affari più succulenti e redditizi e questo è sotto gli occhi di tutti. Abbiamo la possibilità di darle un segnale forte facendo rivivere, con funzione sociale, quei beni e quel patrimonio che un tempo era in mano alle famiglie e ai clan operanti in tutto il territorio nazionale. Un’occasione da non perdere, sotto ogni punto di vista.
Giovanni Dato -ilmegafono.org
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