Artista, illustratrice e docente, Lavinia Cultrera fa parte di quella categoria di siciliani che, forse, non avremmo mai dovuto lasciare andare via. Il suo ultimo progetto che sta spopolando su Instagram parla di donne, di censura e di capezzoli. Sì, perché i capezzoli femminili, al contrario di quelli maschili, dai social vengono categoricamente fatti sparire se non coperti, segno di una forte strumentalizzazione del corpo delle donne che va sempre a sfavore delle storie che si celano dietro. Il seno, sempre al centro di polemiche, apprezzamenti non richiesti, commenti, sguardi e critiche, per molte donne, anche a causa di queste censure, è diventato un tabù da portarsi dietro stretto in coppe dai ferretti fastidiosi. Moltissime donne provano disagio o addirittura vergogna per i propri seni, sentimenti spesso legati a traumi, episodi di molestie verbali e/o fisiche, ma che grazie al talento di Lavinia e al coraggio di tante donne, si sta cercando di abbattere e, finalmente, liberare. Abbiamo intervistato Lavinia Cultrera per parlare di lei e del suo progetto.
Per iniziare, vorrei cercare di presentarti secondo la mia visione di te: ironica, solare, irriverente, primitiva, sovversiva, sicula e cittadina del mondo. Un vulcano dai colori pastello! Ma per te chi è Lavinia Cultrera e da dove nascono le tue illustrazioni?
Su solare qualcuno avrebbe aspramente da ridire! Sono nata in Sicilia nel 1988 ma da 10 anni ho scelto Bologna come città dove mettere radici. Disegno da sempre, mi riesce abbastanza bene e ho imparato a farne strumento per esprimere cose che spesso fatico a spiegare con le parole. Ho iniziato a utilizzare il digitale qualche anno fa realizzando disegni con brushpen e intervenendo poi con Photoshop per la digitalizzazione. In quel periodo lavoravo in diversi locali per mantenermi e avevo pochissimo tempo da dedicare al disegno, quindi mi sforzavo di avere la miglior resa nel minor tempo. Ultimamente sto cercando di approfondire Procreate su Ipad, app davvero figa! Nei miei lavori tratto tematiche legate alla sessualità, al corpo, ai diritti lgbtqia+, all’orgoglio Queer. Spesso viene fuori anche la mia “sicilitudine” con evidenti note nostalgiche annesse. Il mio soggetto preferito è Kenny, il mio cane-muso-ispiratore, spesso disegno animaletti, in particolare procioni. Il mio sogno è di insegnare discipline pittoriche, cosa che faccio da un anno circa al Liceo artistico “Arcangeli” di Bologna. Stare a contatto con i “regaz” mi piace moltissimo, cerco di fornire loro stimoli e input che sistematicamente vengono ricambiati.
Il progetto “Dietro i capezzoli censurati, indecenti, criticati spudorati, osceni, volgari CI SIAMO NOI, le nostre storie. Davanti ci mettiamo quello che ci pare” all’apparenza ha una valenza fortemente femminista. È nelle tue intenzioni oppure sei di un’altra filosofia?
Il progetto è stato ispirato da uno degli ultimi interventi urbani di CHEAP FESTIVAL (@cheapfestival) che affronta, sui muri di Bologna, la tematica della censura del seno femminile in collaborazione con School of Femminism (@schooloffeminism). Avevo ripostato, tramite stories su Instagram, alcune foto dei loro manifesti e ho ricevuto privatamente dei commenti da contatti che mi seguono, infastiditi dalla mia condivisione o esaltati dal fatto di vedere dei seni femminili tramite le mie stories. Questa cosa mi ha fatto riflettere, così ho proposto privatamente ad alcune ragazze che immaginavo potessero essere interessate di inviarmi una loro foto, raccontarmi una storia con protagonista il proprio seno e scegliere un soggetto, che poi avrei disegnato e posto come copricapezzolo. In seguito, sono stata contattata da altre ragazze che avevano apprezzato il mio lavoro e mi chiedevano di partecipare. L’intenzione è quella di offrire e creare spunti di riflessione su una parte del corpo femminile che non solo viene concepita e considerata in modo diverso da quella maschile, ma viene anche strumentalizzata ogni giorno dai media che propinano immagini di corpi di donne stereotipati e sessualizzati.
Quanto è nociva la narrazione proposta dai media?
I media veicolano ideali si bellezza e “perfezione” che inevitabilmente interiorizziamo quando ci vengono proposti quotidianamente e, quando non riusciamo ad uniformarci al canone imposto, ci succede di provare disagio e inadeguatezza. Ma anche quando lo facciamo non ci sembra mai abbastanza. La conseguenza è un sentimento di insicurezza, riscontrato in molte delle testimonianze raccolte. Un corpo imperfetto, un seno svuotato, troppo piccolo, troppo grande, asimmetrico, diventano automaticamente scomodi, strumenti facili da utilizzare contro noi stesse. Raccontarsi diventa così un atto di sovversione e sorellanza che ci unisce contro l’oggettificazione e la sessualizzazione continua dei nostri corpi.
Le illustrazioni che usi come censura-capezzoli sono in qualche modo legati alle donne che rappresenti oppure è una “questione di forma”?
Mi piaceva l’idea di dare a ciascuna la possibilità di scegliere il copricapezzolo in segno di autodeterminazione negata dai social, che oscurano questa parte del corpo femminile eliminando i post che li ritraggono in foto.
Io sono una grande fan di quelle forme d’arte che cercano di rompere il silenzio sui tabù e tutti quei costrutti che la società contemporanea ci impone e sono anche una grandissima amante dei social e delle nuove tecnologie proprio per le potenzialità comunicative e divulgative che offrono. Quanto ritieni importante l’uso dei social per le arti digitali come le tue illustrazioni?
Da qualche anno Instagram è il social che utilizzo maggiormente, a un certo punto è diventato un po’ un portfolio, infatti collaborazioni e commissioni partono spesso da qualcuno che ha visto qualcosa sul mio profilo. Il progetto stesso di cui abbiamo parlato nasce ed è stato ideato come contenuto Instagram; in seguito alle pubblicazioni mi sono stati segnalati profili che trattano argomenti e tematiche simili ai miei: in questo modo si creano connessioni e nuovi stimoli.
Toglimi una curiosità. Ho una teoria secondo cui i digital artist, durante la pandemia, sono forse la categoria di artisti che ha sofferto meno le chiusure in quanto la vostra arte si muoveva già al di fuori di tutti quei circuiti convenzionali dell’arte “tradizionale”. Quindi, in qualche modo si potrebbe dire che i digital artist, alla luce anche del boom degli NFT, sono i veri highlander dell’arte ai tempi del Covid-19? E che, in qualche modo, parafrasando un detto siculo, il vostro slogan possa essere “A tempu ri pandemia, ogni pixel jè galleria” (in tempi di pandemia, ogni pixel è galleria)?
Le “gallerie” potrebbero prenderla male. Sicuramente c’è stato maggior raggio d’azione per chi lavora in digitale. Personalmente, ho dedicato molto del mio tempo pandemico al disegno e alla ricerca. Una cosa che mi piace molto è il sostegno reciproco che si crea tra illustratori sui social, molti di noi hanno dei veri e propri merchandising d’autore reperibili online tramite i “link in bio”. La chiusura l’abbiamo comunque sofferta, essendo nostro malgrado animali sociali e, a dirla tutta, non vedo l’ora di poter tornare fisicamente all’interno di una galleria tradizionale, spazio autogestito, centro sociale, magari durante un’inaugurazione, magari bevendo una birretta e condividendo idee e impressioni sulla mostra e sull’uso degli NFT, che non sapevo assolutamente cosa fossero prima di questa intervista!
Ringraziamo Lavinia per questa bella chiacchierata. Non resta che invitarvi a dare uno sguardo, leggere le storie che si celano dietro le “censure scelte”, che continuano ad aumentare giorno dopo giorno nel profilo Instagram di Lavinia Cultrera (@lavinialiviana / https://www.instagram.com/lavinialiviana/) anche solo per rendersi conto di quanto uno sguardo o un commento “apparentemente innocui” possano in realtà diventare ragione di vergogna e disagio verso il proprio corpo e di come, in realtà, troppe donne siano vittime di questi stereotipi.
Sarah Campisi -ilmegafono.org
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