Alla fine, alla Libia abbiamo detto pure grazie. Un grazie irritante e grave alla Guardia Costiera del paese nordafricano per i salvataggi di migranti da parte delle motovedette. Il ringraziamento lo ha pronunciato il premier italiano Mario Draghi, in occasione della sua visita istituzionale a Tripoli. Parole che pesano e fanno rumore, parole che non hanno alcun senso ma confermano quanto già si immaginava con ragionevole certezza: non ci sarà alcun impegno per fermare il genocidio che si compie in Libia anche grazie ai soldi e agli aiuti dell’Italia. La posta in gioco è politica ed economica, come sempre, e i migranti trattenuti, torturati e violentati nei centri di detenzione libici sono il denaro di carne, la merce di scambio, l’inchiostro rosso sangue con il quale siglare accordi commerciali ma anche scrivere tattiche geopolitiche e squallide strategie di consenso elettorale.
La Libia è come un’entità immortale, un mostro con il quale tutti i governi, negli ultimi decenni, hanno siglato accordi sui migranti. I vari ministri dell’Interno italiani, infatti, hanno lasciato che il paese libico fosse una mannaia per decimare e respingere le masse di disperati in fuga. Da molti anni, dai tempi di Giuliano Amato e di Roberto Maroni. Per poi giungere, con Minniti, a una strategia più aggressiva e raffinata. Accordi sempre più stretti, con pioggia di soldi e mezzi, con il finanziamento della Guardia Costiera libica, l’addestramento dei libici sulle navi della nostra Marina militare. E ancora, gli incontri ufficiali con delegazioni che comprendevano anche personaggi sospettati di essere a capo delle organizzazioni di trafficanti, la guerra alle ong, attraverso la quale è stato “svuotato il mare di testimoni”, una frase che si sente dire spesso ma sulla quale bisognerebbe riflettere più a lungo, per cogliere fino in fondo il dramma che ci racconta.
E poi, come si è scoperto da poco, gli ordini del Viminale di indagare anche su giornaliste e giornalisti bravi e seri, impegnati sul tema dei rapporti Italia-Libia, sul traffico di esseri umani e anche di armi e petrolio, traffico che coinvolge pure la criminalità organizzata italiana. Giornalisti intercettati mentre facevano il loro lavoro, ascoltati da chi sperava di trovare qualcosa di losco che potesse servire come ulteriore tassello per quel falso teorema politico che provava e ancora prova a criminalizzare la solidarietà, sporcare l’attività umanitaria e di soccorso che le ong svolgono nel Mediterraneo. Un’azione pericolosa e ignobile, che riguardava anche l’intercettazione di dialoghi con le fonti o con avvocati, mettendo a rischio la vita delle fonti stesse. Una strategia cinica, illiberale e autoritaria, una sorta di nazismo strisciante finalizzato a nutrire la propaganda e a farlo con lo sguardo serio, con il colletto ordinato e la testa ben lucidata.
Un piano diabolico e perverso, che certifica perfettamente il clima di un Paese che, negli ultimi anni, ha visto alcune procure e diversi procuratori agire in modo controverso e discutibile, più o meno direttamente funzionale alle teorie che il potere voleva a tutti i costi far diventare dominanti. Trapani potrebbe essere solo un pezzo di un mosaico probabilmente più grande. Poi è arrivato Salvini, con la sua gestione rozza e piena di slogan e di atti “spettacolari”, eclatanti, meno raffinati e molto più facili da smascherare e contrastare. Caduto lui, è stato il turno della Lamorgese, che di Minniti fu stretta collaboratrice e che ha scelto la linea della continuità, più con il suo vecchio mentore che con il suo immediato predecessore. Le parole di Draghi allora sono il sigillo perfetto sulla vergogna di un Paese che continua a giocare con la pelle di centinaia di migliaia di esseri umani innocenti.
Così come perfettamente continue con il passato sono le risposte sbilenche e vuote di Enrico Letta, nuovo segretario del PD, il quale non prende posizione, si limita a dire che il soccorso in mare è un obbligo internazionale e umano, senza chiarire però cosa ne pensi degli accordi con i libici e dei salvataggi effettuati da loro, che in realtà salvataggi non sono, ma sono catture che fruttano soldi ai trafficanti e a chi gestisce i lager libici. Letta non dice nulla di concreto, né sulla discontinuità con Minniti, né sulla guerra alle ong e sul caso intercettazioni. Si limita a richiamare l’Europa a fare la propria parte. Che novità. Una cantilena obsoleta, il modo migliore per non rispondere delle nostre responsabilità, di quelle che come Paese abbiamo il dovere di assumere. D’altra parte, ci si può mai aspettare un cambio di passo da chi dirige un partito che ha scelto di governare con la Lega, con Salvini e con un premier che ringrazia la Guardia Costiera (infarcita di trafficanti) di una nazione che non riconosce i diritti umani?
Certo qualcuno, nel centrosinistra, ha protestato per le parole di Draghi, ma forse sarebbe stato meglio farlo anche prima di quelle parole. Magari quando, con lo scorso esecutivo, si rinnovava il Memorandum Italia-Libia, o quando si decideva di sedere dentro un governo come quello attuale. Forse prima di rivolgersi all’Europa e di mandare Draghi a contrattare una gestione comune dei flussi migratori, bisognerebbe spiegare allo stesso Draghi la “differenza tra salvataggio e cattura”, come ha giustamente scritto il deputato Nicola Fratoianni, di Sinistra Italiana, unica forza di sinistra rimasta coerentemente all’opposizione.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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