Nei giorni appena trascorsi è balzata agli “onori” della cronaca Teresa Merante, una cantante calabrese folk, investita dalle polemiche per i testi di alcune sue canzoni che potremmo definire dalla dubbia morale. A catapultare la Merante nell’occhio del ciclone è stato il video della sua ultima canzone girato a Nicotera (comune più volte sciolto per infiltrazioni mafiose) e nel quale la cantante augura, con tanto di brindisi del sindaco, Giuseppe Marasco (che si è detto inconsapevole del tema del video al quale ha partecipato), un buon anno a tutti i calabresi lontani da casa, con specifica menzione ai carcerati “segregati in galera”. Non è certo la prima volta che le canzoni della calabrese inneggiano alla malavita. Il suo portfolio “vanta” infatti brani con titoli molto espliciti come U latitanti, L’omu d’onori o Il capo dei capi, nei quali non vengono mai celate la simpatia, l’ossequioso rispetto o, in taluni casi, la non troppo implicita complicità che la cantante sembrerebbe provare verso la malavita sino ad arrivare ad inneggiare all’uccisione di poliziotti.
È stato proprio questo plateale atteggiamento di ammirazione nei riguardi del crimine organizzato a causare alla Manente i recenti problemi. Il Mosap, Movimento Sindacale Autonomo di Polizia, si è schierato duramente contro i suoi testi definendoli “uno scempio, nonché enorme mancanza di rispetto nei confronti di chi ha sacrificato la propria vita per combattere le mafie”. Il Coisp, altro sindacato di polizia, ha annunciato, tramite il proprio segretario, Domenico Pianese, di star predisponendo a carico della cantante un esposto per istigazione a delinquere. “I suoi brani – ha dichiarato Pianese – non solo inneggiano alla peggiore forma di delinquenza, ma sono un vero e proprio pugno allo stomaco per chi, come gli appartenenti alle forze dell’ordine, lavora ogni giorno rischiando la vita per estirpare dal Paese il cancro della criminalità organizzata”. Peraltro va aggiunto anche che alcuni di questi brani hanno milioni di visualizzazioni sul web.
Sulla vicenda è intervenuto anche il segretario della Commissione parlamentare antimafia, Wanda Ferro. “Questi video – ha dichiarato la deputata – sono assolutamente da bandire, sarà mio impegno portare la questione all’attenzione del parlamento e in commissione antimafia”. Le canzoni della Merante, infine, hanno attirato l’attenzione di una parlamentare del Movimento Cinque Stelle, Dalila Nesci, da sempre sensibile al tema della lotta alla ’ndrangheta, che ha proposto l’introduzione del reato di apologia di mafia. A tutto questo polverone mediatico Teresa Merante ha reagito con una dichiarazione sulla propria bacheca social, adducendo giustificazioni non troppo convincenti. “Non accetto – ha dichiarato – di essere etichettata come la cantante della malavita in Calabria”. A sua discolpa il fatto che alcuni testi da lei cantanti non sarebbero frutto della sua mano e che Il capo dei capi, di cui invece non sconfessa la maternità, sarebbe stato da lei scritto dopo la visione della omonima fiction.
Dunque la Merante, che definisce le proprie incomprese performance, opere tradizionali calabresi, respinge ogni accusa perché il semplice cantare, elogiandole, le imprese di delinquenti e boss, non sarebbe affatto grave né lo sarebbe, a suo dire, scriverne, laddove ispirati da film altrettanto opinabili. Come se pur di fare clamore, di avere un pubblico, tutto fosse ammesso, tutto fosse “arte”. Eppure abbiamo esempi di “colleghi” della Merante che con lei condividono solo l’ambito musicale. Veri artisti che non si piegano alla logica del “far parlare di sé” ma che usano il proprio talento per promuovere reali valori come quello della legalità e del no alle mafie.
Basti pensare al cantante paternese, Maurizio Musumeci, in arte Dinastia, che ha più volte cantato testi che celebrano la lotta alla mafia ed il volto della Sicilia che combatte per sconfiggere il male che da sempre la affligge. Il problema è che, spesso, a vicende come quella di Teresa Merante si attribuisce, erroneamente, troppo poca rilevanza. Si è portati a credere che la lotta alle mafie, al malaffare, avvenga solo nelle aule di tribunale, nei commissariati, nelle questure, mentre è un fenomeno ben più ampio che investe ogni settore del vivere umano. Tutto è lotta alla mafia: dal mancato pagamento al posteggiatore abusivo, alla musica che si sceglie di ascoltare. Come diceva Paolo Borsellino: “La lotta alla mafia deve essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà”.
Anna Serrapelle-il megafono.org
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