Una sentenza dall’effetto “culturalmente devastante”: è così che il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha definito la decisione del Tribunale di Francoforte sul Meno in merito alla querelle nata a seguito dell’inaugurazione di una pizzeria intitolata “Falcone e Borsellino” nella città tedesca. La gaffe è a dir poco epocale: proprio la scorsa settimana, un imprenditore ha aperto le porte del proprio ristorante il cui nome è un chiaro riferimento ai due giudici siciliani uccisi dalla mafia. Cosa già discutibile usare a scopi commerciali i nomi e la memoria di due magistrati uccisi dalla mafia. Come se non bastasse, lo stesso ristoratore avrebbe optato per un arredamento che rimanderebbe in maniera inequivocabile ad una sorta di esaltazione della criminalità organizzata, con tanto di fori sulle pareti, come a voler imitare dei proiettili, e addirittura immagini di Marlon Brando nelle vesti di don Vito Corleone (tratte dal film “Il Padrino”).
Insomma, un vero e proprio mix di ignoranza, assenza di rispetto e abbondanza di tristi luoghi comuni di cui certo non avevamo bisogno e che rischia di trasformarsi in un pericolosissimo precedente culturale e sociale. Per tale ragione Maria Falcone, sorella del magistrato ucciso nel 1992, si è prontamente adoperata e ha così presentato denuncia contro la “violazione della memoria dei due giudici”. Una denuncia che, a distanza di pochi giorni, ha però ottenuto un responso negativo da parte del Tribunale tedesco: “Falcone – si legge nella nota rilasciata – ha operato principalmente in Italia, e in Germania è noto solo a una cerchia ristretta di addetti ai lavori. Non alla gente comune che frequenta la pizzeria”. Inoltre, sempre secondo il Tribunale tedesco, sono passati ormai 30 anni dal triste evento e quasi nessuno, almeno in Germania, risente della gravità dell’accaduto.
Dire che si tratta di uno schiaffo morale alla memoria dei due giudici (oltre che a quella delle tante, troppe vittime di mafia) rischia di essere un banale eufemismo. In un colpo solo, infatti, il Tribunale è riuscito non solo ad oltraggiare la memoria e il valore, bensì lo spirito stesso di legalità, libertà e giustizia che tanti uomini come Falcone e Borsellino hanno incarnato sino all’ultimo dei loro giorni. Alla luce di tutto ciò è impossibile non chiedersi cosa sia venuto in mente all’imprenditore tedesco, ma ancor di più come sia possibile che un’autorità così alta come un Tribunale abbia optato per una sentenza del genere. È davvero così facile dimenticare fatti tanti importanti avvenuti soltanto qualche decennio fa? E ancora: davvero non si è in grado di percepire il valore del lavoro svolto da uomini del genere al di fuori del proprio territorio di competenza?
Un’ultima ancora: magari ai tedeschi non cambierà nulla, ma nessuno ha pensato ai tanti, numerosissimi connazionali che vivono a Francoforte, che vivono in Germania e che per l’ennesima volta hanno dovuto subire un ridimensionamento culturale della propria identità, della propria storia? Ma soprattutto, esiste un limite morale che faccia capire che è squallido e offensivo usare la memoria per scopi commerciali e per avere un po’ di pubblicità? E che peraltro è inammissibile mettere vicini simboli mafiosi con simboli della lotta alla mafia?
Alla fine, stando agli ultimi aggiornamenti, pare che il proprietario del locale abbia deciso di cambiare nome al ristorante, affermando che “non era nostra intenzione banalizzare la mafia, né offendere i due magistrati e le vittime innocenti della mafia”. Al di là di quel che può davvero pensare un cittadino privato, ciò che fa rabbia, tantissima rabbia in questa vicenda è sapere che qualcuno, tra le stanze e gli uffici di un Tribunale e quindi di un’istituzione pubblica, pensi che la mafia sia ancora una cosa esclusivamente italiana. Che, insomma, sia semplicemente “cosa nostra”.
Giovanni Dato -ilmegafono.org
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